La hit parade degli appelli a Cannes: Gaza in cima, Kyiv quota rosa, e gli ostaggi? Non emozionano

Dal monologo del comico Laurent Lafitte al manifesto per Gaza, il Festival inaugura tra impegno e omissioni. L’Ucraina resta sullo sfondo, gli ostaggi non pervenuti. E anche l’indignazione ha la sua classifica

Chiamato a inaugurare il Festival di Cannes, il comico Laurent Lafitte ha accolto il mondo del cinema con un monologo accorato, tanto per ricordare che non siamo lì a divertirci. Giusto il tempo di qualche battuta (“ho fatto 73 film, Kubrick appena 13, non sarà certo lui a spiegarmi cosa sia una lunghezza focale”), poi ha cambiato sguardo, postura, tono di voce. Ha ricordato la resistenza francese e Joséphine Baker, Jean Gabin, James Stewart, il Tibet di Richard Gere, Adèle Haenel che protestava contro il César a Roman Polanski nel 2020 (strappando un grande applauso alla platea). In coda all’elenco ha aggiunto “un attore diventato protagonista di una guerra”, cioè Zelensky. Ha detto di tenere viva l’attenzione su “cambiamento climatico, uguaglianza, femminismo, lotte lgbtqia+, migranti, razzismo”, lasciandoci qualche dubbio che anche i monologhi ormai si scrivano con l’AI.

Ha evocato naturalmente Trump (“che con la motosega distrugge i programmi di aiuti destinati ai più deboli”, facendo quindi anche una crasi con Milei). “Stiamo vivendo tra guerra, povertà, cambiamento climatico e misoginia: i demoni della nostra barbarie non ci danno tregua”, ha poi aggiunto Juliette Binoche, presidentessa della Giuria. Per “l’impegno da red carpet” è davvero un gran momento. Mai visti così tanti cattivi in giro. Mai una scelta così ampia di temi, battaglie, anche solo pescando tra le cinquantasei guerre in corso. Ma registi e attori sono abitudinari, vogliono piacere a tutti (lo fanno per lavoro) e firmano in tanti un appello per Gaza, pubblicato su Libération e Variety. Se la prendono con “l’inspiegabile silenzio del cinema verso il genocidio”. Su “genocidio” bisognerà ormai fare come l’Accademia della Crusca con “qual’è” scritto con l’apostrofo. Fate come vi pare. Come sempre quando mi arriva un appello su Gaza cerco la parola “ostaggi”, fosse anche alla fine, tipo le clausole in piccolo sulle polizze. Niente anche stavolta. Anche “Hamas” non si trova quasi mai. Però il mondo del cinema si dice pronto a contrastare “l’estrema destra, il fascismo, il colonialismo, i movimenti anti trans, il sessismo, il razzismo, l’islamofobia e (anche qui in coda), l’antisemitismo”.

Quanti film ci vorrebbero per affrontarli tutti? Come ci si può dividere i compiti se tutti poi si buttano su Gaza, come ai nostri di David di Donatello? A Cannes sono annunciati tre documentari sull’Ucraina, tra cui uno sulla vita di Zelensky, catapultato dalla stand-up comedy alla difesa del suo paese e dell’idea di Europa. E’ una bella notizia. Vedremo quanto se li fileranno. Perché l’impressione è che l’Ucraina sia ormai una quota rosa dell’impegno. Ci sta perché ce la dobbiamo mettere. Nella hit parade degli appelli, sempre molto sotto Gaza, la misoginia, il colonialismo. L’Ucraina è la causa di chi vuole darsi un tono, Putin non potrà mai essere un cattivo all’altezza del nostro sdegno popolare quanto Israele e Trump. L’Ucraina va in coda con l’antisemitismo, altra quota rosa, ma pur sempre sopra gli ostaggi (che non entrano neanche in classifica: non è mai emozionante ricordarli quando si ritira un premio).

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