L’ex presidente del paese sudamericano è morto a 90 anni. Il passato nella lotta armata e l’immagine pubblica da “uomo più povero del mondo”
Il Nelson Mandela dell’Uruguay: così potrebbe essere ricordato José “Pepe” Mujica, l’ex-presidente dell’Uruguay morto ieri di cancro all’età di 89 anni. Come il leader sudafricano, anche lui è arrivato alla testa dello stato dopo aver passato un lungo periodo in carcere per lotta armata, anche se i 15 anni da lui scontati sono poco più che la metà dei 27 di Mandela. C’è anche la differenza che il comando di un gruppo armato di Mandela nell’African National Congress era stato essenzialmente virtuale, mentre nella guerriglia urbana che il Movimiento de Liberación Nacional-Tupamaros combattè tra 1963 e 1972 Mujica si sporcò le mani direttamente, partecipando tra l’altro a rapine spettacolari, e subendo sei ferite da arma da fuoco.
Sia Mujica che Mandela, comunque, colsero l’occasione della detenzione per leggere e studiare moltissimo. Come Mandela, anche Mujica malgrado il suo carisma si accontentò di fare un mandato solo, tra 2010 e 2015: vero che la legge elettorale uruguayana impedisce la ricandidatura immediata, ma lui declinò comunque le occasioni successive. Come Mandela, anche Mujica pur venendo da una immagine estremista si è fatto apprezzare anche dagli avversari come statista al di sopra delle parti e fautore di pacificazione. Anche qui, ci sono comunque grandi differenze tra i due. Mandela infatti fu eletto poco dopo essere stato liberato, nello scenario di negoziato per lo smantellamento dell’apartheid. Mujica si insediò presidente il primo marzo 2010, a venticinque anni dalla fine del regime militare, e dopo che un altro membro della sua coalizione di sinistra era stato presidente. Lo scenario era quello della “Marea Rosa” che portò al governo in America Latina una quantità di governi di sinistra col passaggio al nuovo millennio. Alcuni di questi governi poi si sono però avvitati in scenari autoritari, particolarmente gravi in Venezuela e Nicaragua. Altri hanno avuto gravi problemi di corruzione e spesso anche di crisi economica da cui risposte opposte estreme come Bukele in El Salvador, Milei in Argentina o Bolsonaro in Brasile – anche se lì è poi tornato al potere Lula. Il cileno Boric e il colombiano Petro, ora presidenti, hanno simili gravi problemi di popolarità.
L’Uruguay si è invece confermata un’oasi di democrazia e riforme, attraverso tre governi di sinistra cui è seguito un governo di destra e adesso di nuovo uno di sinistra con quel Yamandú Orsi che è considerato il delfino di Mujica – e che ha appunto annunciato il suo decesso. Mujica è stato fermissimo nel condannare le involuzioni autoritarie di sinistra, senza le ambiguità di un Lula: una correttezza di messaggi peraltro accompagnata da un modo di parlare diretto, che invece sarebbe tipico del populismo più sfrenato. Anche da presidente ha poi sempre mantenuto una immagine da Cincinnato, preferendo alla residenza ufficiale una piccola fattoria alla periferia di Montevideo, dove coltivava zucche e viveva con l’equivalente di soli 1.500 dollari al mese, devolvendo l’altro 90 per cento dello stipendio in beneficenza. Era stato floricultore, prima di entrare nel 1964 nella lotta armata.
Un’altra sua ferma rinuncia era stata quella alla scorta, anche perché la fallimentare esperienza della lotta guerrigliera, pur mai rinnegata, gli aveva comunque lasciato una forte antipatia per le armi. “Io dico ai più giovani: quando parte il primo colpo, non si sa più quando partirà l’ultimo”, ripeteva spesso. Uniche a vegliare su di lui erano dunque Lucia Topolanski – la ex guerrigliera e senatrice che aveva sposato nel 2005 dopo vari decenni di convivenza affettiva, politica e orticola, e che sarebbe diventata vicepresidente nel mandato successivo al suo; e Manuelita, una cagnetta con tre sole zampe, presenza ineliminabile di tutte le interviste che concedeva nella sua fattoria. Parte della sua leggenda anche il non viaggiare con aerei ufficiali, ma soltanto con quelli di linea, e il guidare personalmente un vecchio Maggiolino degli anni ’70. “L’uomo più povero del mondo”, era stato definito.
“È con profondo dolore che annunciamo la scomparsa del nostro compagno Pepe Mujica. Presidente, attivista, leader e leader. Ci mancherai moltissimo, caro vecchio. Grazie per tutto quello che ci hai dato e per il tuo profondo amore per il tuo popolo”, è stato l’annuncio del presidente Orsi. Nell’;aprile 2024 Mujica convocò inaspettatamente una conferenza stampa per annunciare di avere un cancro all’esofago. Seguirono 32 sedute di radioterapia, la scomparsa di tutti i segni del tumore e una dolorosa convalescenza con diversi ricoveri ospedalieri dovuti ai problemi alimentari di cui soffriva. Ma a gennaio in un’altra intervista annunciò che il suo cancro aveva metastatizzato e lasciò un messaggio di addio al pubblico. “Questo è il massimo a cui sono arrivato”, disse, e chiese di essere lasciato in pace, di non richiedere altre interviste e di poter trascorrere la fine della sua vita nella sua fattoria, guidando un trattore e sorvegliando le sue coltivazioni. In quell’intervista, Mujica commentò che la sua vita era stata “un po’; una soap opera”, in cui la presidenza era “una passeggiata”. Il suo ultimo desiderio: essere sepolto nella sua fattoria, assieme alla cagnetta Manuela.