Industria, immigrazione, lavoro, segreti di stato. Le esondazioni delle procure non sono atti dovuti

Parte della magistratura italiana oltrepassa i confini del proprio ruolo in nome di una presunta tutela della democrazia. I casi Ilva, Firenze, Milano e Anm. In difesa del primato della politica

In Italia, si sa, la politica più disinvolta tenta da anni di giocare con le leve della magistratura per provare a combattere per via giudiziaria i propri avversari politici utilizzando spesso e volentieri la chiave di lettura della lotta per la salvezza della democrazia per nascondere le invasioni di campo delle procure. In Italia, si sa, la politica più disinvolta tende da tempo a far coincidere l’impegno della magistratura contro l’immoralità della politica a una grande battaglia così detta di civiltà, volta a tutelare le istituzioni dall’irresponsabilità della politica. E seguendo questo schema di gioco, la politica, per anni, ha scelto di chiudere gli occhi di fronte a un fenomeno che, negli ultimi tempi, ha assunto delle dimensioni mostruose, tali da suggerire agli osservatori che hanno costruito una carriera travestendosi da buca delle lettere delle procure di riflettere su cosa significhi per uno stato sovrano avere una magistratura che ha trasformato il primato della politica in una fattispecie di reato. I segnali a volte sono impercettibili, a volte sono più evidenti, a volte sono più clamorosi, a volte sono più sottili ma sono sempre lì, tutti, ogni giorno di fronte a noi. E scegliere di non vederli, girandosi dall’altra parte, non è sinonimo di equilibrio: è sinonimo di complicità.

L’ultimo caso della saga è avvenuto la scorsa settimana, a Taranto, quando la procura, dopo un incidente avvenuto all’interno dell’ex Ilva, prima ha scelto di sequestrare l’unico altoforno rimasto in attività, poi ha deciso di ignorare la preghiera dei commissari dell’impianto che avevano avvertito che chiudere l’altoforno per più di 48 ore avrebbe compromesso l’attività dello stesso altoforno e infine ha accettato di consentire la manutenzione dell’altoforno fuori tempo massimo compromettendo l’attività già ampiamente ridotta di Ilva. Ci sono esondazioni che riguardano le politiche industriali del nostro paese. E ci sono procure che hanno cercato di appropriarsi della discrezionalità dell’azione politica, arrivando a diventare a loro volta degli attori politici in purezza. È stato il caso dei molti tribunali che hanno scelto di combattere una battaglia orgogliosa per dimostrare che sulle politiche migratorie l’ultima parola deve essere quella delle procure e non quella dei governi. È stato il caso della procura di Roma che utilizzando la formula dell’atto dovuto ha scelto di non archiviare una denuncia contro il governo sul caso Almasri considerando forse il perimetro del segreto di stato come un affare riguardante più il potere giudiziario che quello esecutivo. È stato il caso della procura di Milano che negli ultimi mesi, come raccontato sul Foglio da Ermes Antonucci, con le sue inchieste creative ha usato i sequestri preventivi per indurre molte aziende ad assumere migliaia di lavoratori sulla base di un’acrobazia giuridica attraverso la quale ha imputato alle imprese che stipulano i contratti di appalto gli eventuali reati commessi dalle società alle quali si sono affidate. È stato il caso della procura di Firenze che in più occasioni ha cercato di scavalcare il potere legislativo acquisendo la corrispondenza dell’ex premier Matteo Renzi senza chiedere la preventiva autorizzazione del Senato. Ed è stato il caso dell’Anm che prima di essere schiaffeggiata dalla Corte costituzionale per mesi ha evocato un allarme democratico per via di una legge voluta dal governo per rivedere il reato di abuso d’ufficio.

Difendere la magistratura da chi sogna di sostituirla con una falange di signor sì pronti a fare della giustizia italiana un enorme porto delle nebbie è sacrosanto. Ma difendere l’Italia da una magistratura che scegliendo di trasformare il mestiere della politica in un reato si è ritrovata a esondare su ogni campo da gioco è una battaglia di civiltà che dovrebbe appassionare chiunque sogni di avere una magistratura interessata a occuparsi di reati e non una magistratura interessata a essere un attore politico spacciando le proprie esondazioni irresponsabili come responsibilissimi atti dovuti. Anche basta, grazie.

  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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