La biografia che Marie Darrieussecq dedica alla misconosciuta pittrice tedesca del primissimo novecento s’inserisce in quei libri nati per riparare a un’ingiustizia, quelli che dal fallimento dei progetti di una persona rivelano la meraviglia del tentativo
Sono numerosi i libri nati per riparare a un’ingiustizia ma sono rari quelli che, dalla redenzione, sappiano creare un trionfo. E partendo dal crudele fallimento dei progetti di una persona, rivelino la meraviglia del tentativo, portandolo fino a noi. S’inserisce qui l’emozionante, intensa biografia che Marie Darrieussecq dedica a una misconosciuta pittrice tedesca del primissimo Novecento. Essere qui è uno splendore – Vita di Paula M. Becker (traduzione di Sofia Tincani, Crocetti editore) nasce da una parola, quel peccato pronunciato in fin di vita dall’artista trentenne, lasciando un’immensa opera incompiuta e una bambina di diciotto giorni. “Ho scritto questa biografia a causa di quell’ultima parola. Perché è un peccato. Perché questa donna che non ho mai conosciuto mi manca. Voglio renderle più che giustizia: vorrei restituirle l’essere qui, lo splendore”.
Questo tributo esemplare racconta come le rivoluzionarie scelte esistenziali della pittrice (nata nel 1876 a Dresda, ha lasciato settecento quadri vendendone uno, ma a Rilke), fossero vive accanto a noi, in un ideale, quasi una premonizione benevola – per esempio la più mite ma irreprimibile spinta all’autodeterminazione – e a cui mancassero soltanto nome e storia. E’ l’autonomia nelle cose più ovvie: poter firmare i quadri con il cognome di nascita; non nascondendolo, dopo aver sposato il pittore Otto Modersohn, dietro il suo. Quell’uomo incontrato nella comunità artistica del bigio villaggio di Worpswede; l’uomo che lei vuole “proteggere tra le mani”, ma senza costringersi a una convivenza forzata, cui preferisce gli stenti solitari di soffitte lunghe un metro e larghe tre sotto i tetti di Parigi. Così come c’è anticipo e cambiamento nel rapporto con Clara Westhoff, conosciuta a Worpswede, e che sposerà Rilke: ciò che avvenne tra loro tre non si può costringere in una definizione; lo stesso poeta, scrive Marie Darrieussecq, “Esita. Paula, Clara. Il suo cuore oscilla. La preferenza va al trio. E questa cosa durerà per tutta la sua vita”. Favolosa è l’amicizia con Clara.
Il testo esorta a osservarle: “Guardatele ridere per le corse sulla slitta a tutta velocità. Guardatele più tardi a Parigi che preparano cinque bottiglie di punch e due torte, una alla mandorla, l’altra alla fragola, per una festa tra studenti. Guardatele a Montmartre che resistono ridendo agli assalti di una suora che vuole convertirle. Guardatele ancora a Worpswede attraverso gli sguardi degli uomini che le desiderano, il pittore Modersohn e il poeta Rilke”. Ciò che non riuscì a vivere, Paula M. Becker lo trasmise al mondo con la pittura: superò ogni accademia, anche l’amichevole compagine di paesaggisti di Worpswede, per scegliere l’Espressionismo e superarlo: quando dipinge i ritratti di ragazze, bambini, sé stessa, dipinge forza e intimità. Aspira alla realtà: “Nessuna innocenza perduta, nessuna verginità violata, nessuna santa gettata in pasto alle belve. Né riserve né falso pudore. Né pura né puttana”. Non cerca di fermare ciò che le fanciulle sognano, ma ciò che pensano. Il suo quadro più famoso, esposto al museo Paula Modersohn-Becker di Brema, è un autoritratto in cui è nuda fino ai fianchi, con una grande collana d’ambra e il ventre rigonfio. È la prima volta che una donna si dipinge nuda. E’ incinta. E’ il 1907: ha fatto in tempo a dire che “La vita è seria, e piena e bella”. La figlia Mathilde nasce il 2 novembre. Parto difficile. Il medico le ordina di allettarsi, permettendole di alzarsi solo dopo 18 giorni. “Paula si alza e viene fulminata. Muore per un’embolia polmonare, per essere stata troppo distesa a letto. Cadendo a terra dice Schade. E’ la sua ultima parola. Vuol dire peccato”.