Il “Piccolo dizionario delle malattie letterarie” di Marco Rossari. Sapere che esistono non ci guarirà, ma sicuramente farà luce sui nostri comportamenti devianti. Gli unici che non richiedono cura e correzione
Non ti divertirai. E’ gente fuori mercato che legge libri fuori catalogo”. Così, in “Un giorno di pioggia a New York” Timothée Chalamet (non ancora Bob Dylan ma già con i tubicini nel naso per affrontare le sabbie nel film “Dune”) avverte Elle Fanning che sono diretti verso una festa di gente che legge. Perlopiù libri fuori catalogo – non i romance cartonati con copertina cangiante. E neppure sono giovanissimi, come l’ingenua ragazza arrivata dall’Arizona per fare l’università. Lui di nome fa Gatsby. La fanciulla non capisce subito il pericolo, perché non ha letto i libri giusti. A giudicare dal titolo, “Il grande Gatsby” sembrava abbastanza innocuo. Sviste che succedono, anche alle ragazze che i libri li leggono da cima a fondo, e poi fanno la brutta fine di Emma Bovary.
A mo’ di cortese avvertimento – e con lo scopo di divertirsi alquanto – Marco Rossari ha scritto per Einaudi un “Piccolo dizionario delle malattie letterarie”. Sapere che esistono non ci guarirà, ma sicuramente farà luce sui nostri comportamenti devianti. Gli unici che non richiedono cura e correzione. Saranno pure malattie, ma molte risultano piuttosto goderecce. Per i lettori, soprattutto. Gli scrittori soffrono di più. “Perché guarire? la letteratura è una febbre bellissima”, ribadisce Marco Rossari nella sua veste di scrittore e lettore (noi siamo convinti di averla scampata a metà, leggiamo tanto, ma libri non ne scriviamo e gli articoli sono come i messaggi a tempo, dopo qualche giorno al massimo spariscono). Se li ricorda soltanto lo scrittore di un libro brutto, che abbiamo dovuto segnalare: a chi legge non si spaccia merce di seconda o terza categoria.
Il piccolo dizionario è di primissima categoria superiore. Sintetiche definizioni. A cominciare dalla “Confusione di Achab: momento di megalomania che porta a considerare degni di nota solo i romanzi sopra le seicento pagine”. I romance, appunto, che spesso vengono proposti a tre per volta, e il mostro si chiama trilogia. Spesso lanciati e celebrati grazie a quel “disturbo istrionico” che chiamiamo TikTok. Non si potrebbe dire meglio (e farsi qualche nemica giurata – lo avremmo messo al maschile, ma mai come in questo momento in letteratura vige la regola “maschi di qua, femmine di là” – con tutta la fatica fatta per chiamare Jane Austen “scrittore”). Ci sono i formati come “Tascabile”, definito “sala di rianimazione” (a volte con risultati apprezzabili, ma deve essere esibito in qualche programma Tv). C’è il “Bubbone di Woolf: bolla immobiliare scatenata dalla proliferazione di troppe stanze tutte per sé”. E il “Trauma di Zeno: reazione che più porta a romanzare la propria vita, più spinge a negare che sia così”. Somiglia a qualcosa “vecchia maniera”. Quando dicevamo di una biografia che “si legge come un romanzo”, e di un romanzo che “sembrava la vita vissuta”. Sindrome riservata, questa, ai medici più che abili, bisogna operare sui due fronti. Poiché si scrive per farsi leggere, e per vendere molte copie (non credete a chi lo nega, sono teneri bugiardi), il “Colpo dello Strega” è considerato “il rimedio universale ai mali dell’editoria”. Ognuno si vendica degli scrittori che non ama, se trova complici, e noi abbiamo trovato la voce “Siddharta: patologia di origine indiana diffusa nell’adolescenza, che spinge il paziente ad ammantare di misticismo un blando malessere giovanile”. Sistemato Herman Hesse, possiamo affrontare la nettamente superiore “Disfunzione di Kafka: dolcezza della paura”. Definizione più che centrata, senza bisogno di ricorrere all’infanzia, alle guardie, ai processi, allo scarafaggio che sta sull’insegna della ditta.