Chiedere a Unicredit garanzie sugli investimenti in Btp è puro autolesionismo

Segnalare formalmente al mercato che la Repubblica italiana non può fare a meno del supporto di un istituto di credito (per quanto importante) è contraddittorio e pericoloso: poche cose sono sorprendenti come lasciare intendere che all’interno dell’esecutivo la mano destra non sappia cosa fa la sinistra

Il comportamento delle agenzie di rating ha segnalato con chiarezza l’apprezzamento dei mercati per la gestione della finanza pubblica e per la scelta di una politica di bilancio prudente e disciplinata. In due casi su tre, la valutazione delle agenzie di rating è migliorata nel corso dell’ultimo triennio e in un caso è rimasta invariata. Il costo medio all’emissione dei titoli di stato è passato dal 3,8 per cento del 2023 al 3 per cento circa odierno. Lo spread fra Btp e Bund decennali viaggia intorno ai 110 punti base, il livello più basso da tre anni a questa parte. Per chiarezza: nel caso dei Bonos spagnoli, nel giro di tre anni lo spread è passato dai 98,8 a 65,3 punti base mentre nel caso degli Oat francesi lo spread è andato invece dai 45,9 punti base di tre anni fa ai 71,6 di questi giorni. Il nostro si è ridotto da 175,3 punti base al citato 110. In altre parole, una performance di tutto rilievo anche in termini comparati. Le ultime aste dei Buoni del Tesoro hanno riservato non poche soddisfazioni all’emittente e praticamente per tutte le scadenze. Nel caso dei Btp decennali l’importo richiesto è stato pressoché doppio rispetto all’offerto. Poco meno nel caso dei triennali e dei quinquennali, per un verso, e dei trentennali, per l’altro. Guardando in avanti, le previsioni disponibili confermano l’orientamento della politica di bilancio e lasciano intravedere una uscita dalla procedura per disavanzo eccessivo nei tempi previsti.

In un quadro come quello descritto è veramente difficile comprendere cosa possa mai aver indotto l’esecutivo – nell’esercizio dei poteri che gli sono (imprudentemente) affidati dalle norme sul golden power – a chiedere garanzie sugli investimenti in Buoni del Tesoro Poliennali ad un importante istituto bancario nazionale, Unicredit, attualmente impegnato in una offerta pubblica di scambio nei confronti di un’altra azienda bancaria nazionale, Banco Bom. Si può anche intravedere una qualche giustificazione nell’invito a non mantenere una presenza in paesi attualmente sottoposti a sanzioni rivolto al primo dei due istituti (giustificazione che invece francamente manca nel caso di altre richieste a carattere strettamente gestionale), ma cosa mai può spingere l’esecutivo ad avanzare una richiesta dal sapore chiaramente “tafazziano” quale quella di investire in titoli italiani?

Per un attimo dimentichiamo le (legittime) ragioni di chi potrebbe essere danneggiato da un vincolo di portafoglio del tutto anomalo, ma segnalare formalmente al mercato – nelle condizioni descritte in precedenza – che la Repubblica italiana non può fare a meno del supporto di un istituto di credito, per quanto importante, è non solo contraddittorio ma semplicemente autolesionistico. Poche cose sono sorprendenti e pericolose come lasciare intendere che, all’interno dell’esecutivo, la mano destra non sappia cosa fa la sinistra. Tanto più in un esecutivo che fino a oggi ha voluto regolarmente chiarire di tollerare distinguo nel dibattito politico ma di pretendere la condivisione degli obiettivi nell’attività di governo. Ma è ciò che è accaduto in questo caso. E’ troppo chiedere che si prendano al più presto le opportune misure perché il fenomeno non si ripeta?

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