Leader dell’indipendentismo inglese, sostenitore della Brexit più dura possibile, Farage ha detto al Financial Times che prima aveva un “obiettivo specifico”: uscire dall’Ue. Ma ora il suo progetto è “andare al governo”. Domani si vota alle elezioni locali e, secondo i sondaggi, Reform Uk ha un vantaggio consistente
La vittoria di Mark Carney, leader del Partito liberale canadese, è stata accolta con sollievo ed entusiasmo a Downing Street: il premier britannico, Keir Starmer, conferma un alleato mentre si ridisegnano le geografie dell’alleanza occidentale, tra l’America arcigna di Donald Trump e l’Europa improvvisamente accogliente e volitiva. E il trumpismo ha perso il suo tocco magico, non si vince più se si ambisce a essere come lui, il leader dei conservatori canadesi, Pierre Poilievre, e il suo spettacolare crollo sono lì a dimostrarlo. Solo che nel Regno Unito c’è Nigel Farage, l’eterno sopravvissuto.
L’edizione britannica dell’Economist, nel suo ultimo numero, non aveva in copertina l’aquila americana con i cerotti e le bende e il conteggio del numero di giorni che ancora mancano alla fine del mandato di Trump, ma il volto del leader di Reform Uk, con il titolo: “L’uomo che il Regno Unito non può ignorare”. Leader dell’indipendentismo inglese, sostenitore della Brexit più dura possibile (che per fortuna non c’è stata), Farage ha detto al Financial Times che prima della sua ultima creazione, il partito Reform Uk, aveva un “obiettivo specifico”, che era uscire dall’Unione europea, ma ora no, ora il progetto “ha a che fare con l’andare al governo”. Domani si vota alle elezioni locali e, secondo i sondaggi, Reform Uk ha un vantaggio consistente nelle due contese per il sindaco più importanti, Greater Lincolnshire (la candidata, Andrea Jenkyns, che dice di voler replicare il Doge di Elon Musk e tagliare tutto, è data al 40 per cento, al secondo posto ci sono i conservatori al 25) e Hull and East Yorkshire (Reform Uk è al 35 per cento, si contendono il secondo posto i Libdem e il Labour, attorno al 20). Dopo l’ingresso ai Comuni nel luglio dell’anno scorso, ora Farage ambisce a controllare giunte locali e sindaci, la prima vera prova di governo, la prima tappa di un viaggio che – ripetono tutti in coro gli attivisti e i politici del Reform – porta a Downing Street. E’ una strada lunga e accidentata, e molte esperienze in passato hanno mostrato che questi partiti nazionalisti e populisti non superano la prova del governo, ma i Tory e il Labour tremano: il cosiddetto “muro” che rappresenta la cintura centrale del Regno Unito era diventato blu con la gran vittoria conservatrice di Boris Johnson nel 2019, è tornato rosso con Starmer l’anno scorso e oggi può colorarsi di turchese-Reform. E’ un’ipotesi che non si può più ignorare che si mescola con i tanti identikit pubblicati dai media inglesi sull’elettore “Reform curious”, stanco del Labour, stanco dei Tory, impigliato nello slogan faragiano “il Regno Unito è rotto”, che è poi quel che diceva anche Donald Trump quando ha conquistato voti insperati in circoscrizioni e in bacini elettorali che sembravano imprendibili. Oggi semmai, guardando i primi cento giorni trumpiani, s’è persa la certezza che un governo brutale come quello dell’attuale Amministrazione americana sia in grado di aggiustare quel che si è rotto, ma la sensazione della rottura, del paese diventato più faticoso da vivere, quella resiste e attrae.
I Tory sono il primo bersaglio di Reform Uk, già alle elezioni politiche del luglio del 2024 il drenaggio di voti era stato più corposo tra gli elettori conservatori: il sistema elettorale britannico aveva contenuto l’offensiva di Reform Uk, che ha preso soltanto 5 seggi ai Comuni (ora ne ha quattro, Farage ha litigato con il quinto, Rupert Lowe: indovinate per quale ragione? I capricci di Elon Musk, che nelle sue operazioni d’ingerenza nel Regno Unito ha creato una faida dentro al suo partito preferito, prendendo le distanze proprio da Farage, che fin dal primo mandato trumpiano è vicino al presidente), ma lo smottamento è iniziato. Farage continua a essere sfrontato nello sventolare il piano di guidare la destra britannica, utilizza tutto l’armamentario trumpiano (tranne che, in parte, sull’allineamento con Vladimir Putin) e trova appigli dentro ai Tory, sembra anche a causa del tramestio dietro le quinte di un altro sopravvissuto della stagione Brexit, seppur più acciaccato di Farage: l’ex consigliere di Johnson Dominic Cummings, la sintesi tra la furia antispreco di Musk e il populismo di Trump.
Ma nemmeno il Labour sta tranquillo: gli elettori “Reform curious”, secondo le analisi, hanno votato per Starmer l’anno scorso, ma ora non sono più sicuri di aver fatto la scelta giusta, sono impermeabili al rilancio sulla scena internazionale del premier (anche se il sostegno all’Ucraina continua a essere solido), ma patiscono grandemente l’immigrazione e la palude economica. Soprattutto si pensava che, con la grande maggioranza laburista e un governo fondato sul pragmatismo, stesse iniziando un circolo virtuoso per la politica britannica finalmente stabilizzata. Non lo è ancora, l’arrivo di Trump non ha aiutato, e Farage riesce ancora a maneggiare il fuoco trumpiano senza bruciarsi.