La guerra dei dazi e l’aereo Boeing rimandato in America dai cinesi

Dopo decenni di trionfi, il colosso di Seattle rischia di perdere la sua supremazia, con i 737 Max rimandati indietro e le vendite in calo. Guai tecnici e il cambiamento delle rotte globali mettono a rischio la storia della Boeing

Uno schiaffo del genere Wilhelm Eduard Böing, meglio conosciuto come Bill Boeing, non lo avrebbe mai tollerato. I suoi eredi e successori invece non possono allontanare l’amaro calice. Domenica di Pasqua, all’aeroporto di Seattle atterra un 737 Max partito da Zhoustan, nell’est della Cina, dove era parcheggiato in attesa dell’adattamento agli standard cinesi. Ha ancora il nome della compagnia alla quale era destinato: Xiamen Airlines. Non è il primo, altri sono stati rimandati al mittente. Un 737 Max, il modello più venduto della Boeing, costa intorno ai 55 milioni di dollari: a causa dei dazi del 125 per cento imposti dalla Cina sulle merci statunitensi (in risposta ai dazi del 145 per cento imposti dagli Stati Uniti) salirebbe a oltre 100 milioni. Pechino ha chiesto alle sue compagnie aeree di sospendere gli acquisti nei confronti delle aziende statunitensi e sta valutando come aiutarle a far fronte ai costi più alti. Riprendetevi i vostri aerei, troppo cari e poco efficienti, con i super dazi e con tutte le loro deficienze tecniche, non ci convengono più. Meglio gli Airbus. Il gesto della Cina è molto più che un guanto di sfida sia per il colosso di Seattle sia per il volubile impresario che occupa la Casa Bianca. Va bene, già all’alba del nuovo millennio Boeing aveva dovuto dividere il trono oltre le nuvole con la sfidante europea, però rimandare indietro gli aerei come fossero scatolette di tonno scaduto è una vera onta. Secondo la rivista statunitense specializzata in aviazione Airways Mag, Boeing avrebbe dovuto consegnare alla Cina 130 aerei alla fine di marzo. Al costo di 55 milioni l’uno sarebbe una perdita di 7 miliardi e 150 milioni per il gruppo che vende circa l’80 per cento dei suoi aerei all’estero, buona parte proprio alla Cina. “Venderemo i nostri velivoli ad altre compagnie aeree”, dicono al quartier generale di Seattle, ma il danno non è solo economico: Boeing non è più la stella americana che brilla nei cieli.

Un 737 Max, a causa dei controdazi del 125 per cento imposti dalla Cina sulle merci statunitensi, arriverebbe a costare oltre 100 milioni

Il 2024 sembrava l’annus horribilis, macchiato dal pasticcio dei motori sui 737-700 e dagli scioperi che avevano colpito la produzione dei 737 Max, con le consegne crollate del 30 per cento e una perdita di 11,8 miliardi di dollari, senza contare il continuo fallimento dei lanci spaziali; ma lo scorso anno è stato così brutto solo perché il 2025 non era ancora arrivato. Schiacciata da Airbus negli aerei di linea e da Elon Musk nei voli stratosferici, Boeing dovrebbe rispolverare il motto della casa: Forever new frontiers. Ma quale frontiera c’è oltre i voli di linea, oltre le guerre stellari, oltre la conquista dello spazio? Chissà, se fosse ancora vivo Bill Boeing lui sì che cambierebbe ancora una volta mestiere. Aveva cominciato con il commercio del legname grazie al quale il padre Wilhelm, ingegnere minerario emigrato a Detroit dalla Germania, gli aveva lasciato una consistente fortuna. Poi si era appassionato di barche, tanto da disegnare il proprio yacht personale. E dopo il mare, che non abbandonerà mai del tutto, scopre il cielo. E’ il 1910, assiste a un’esibizione aerea a Los Angeles e decide che quello sarebbe stato il suo futuro. Conseguito il brevetto di pilota, nel 1914 comincia con gli idrovolanti. La guerra gli porta le prime commesse importanti, ma la svolta decisiva arriva con la posta. E’ il primo a capire le enormi possibilità degli aerei postali in un continente come gli Stati Uniti e nel resto dell’America. E ne fa il centro della propria attività. Mentre Antoine de Saint-Exupéry vola e scrive, Bill Boeing vola e costruisce. L’aeroplano già nel 1928 diventa negli States il principale concorrente del treno, nemmeno la crisi di Wall Street colpisce in modo consistente quel business in tremenda espansione. Nel 1933 il Boeing 247 sembra una meraviglia per la tecnologia utilizzata (con i motori Pratt & Whitney) e gli standard di comfort. Poi arriva il DC-1.

Nel 1932 la TWA, la linea aerea che cerca di strappare più spazio possibile alla conglomerata United, ordina a Donald Wills Douglas un velivolo commerciale che possa competere con i Boeing. Fino ad allora Douglas ha prosperato grazie alle commesse militari e la sfida si presenta, dunque, nuova e particolarmente ambiziosa. In un anno sforna il primo aereo tutto in alluminio, in grado di alloggiare dodici passeggeri e attraversare gli Stati Uniti dalla costa dell’Atlantico a quella del Pacifico nel tempo record di 12 ore e 42 minuti. Nell’industria aeronautica Douglas e Lockheed si facevano concorrenza con il coltello tra i denti, mentre Boeing cercava spazio, restando però la più debole anche finanziariamente. Quando arriva la Grande Depressione sembra finita, invece la crisi si trasforma in un inatteso colpo di fortuna. La Lockheed viene colpita duramente e rischia di scomparire. Ripescata da un investment banker, Robert Gross, trova una seconda giovinezza e si lancia sul mercato estero, soprattutto sull’Europa ignorata fino ad allora dai suoi due concorrenti. Proprio a partire dagli anni 30 l’industria aeronautica diventa la principale voce dell’export americano. Boeing punta sul militare e costruisce un bombardiere allora avveniristico, il B-17 che, però, ottiene poche commesse. Ma finché c’è guerra c’è speranza per chi produce armi, e il Secondo conflitto mondiale apre le porte degli hangar alle fortezze volanti. E qui Boeing non ha rivali. Il B-17 è il primo aereo a essere chiamato Flying Fortress, poi arriva la Superfortezza, il B-29, come Enola Gay che lancia la bomba atomica su Hiroshima. Se la guerra è stata una vera benedizione per Boeing, la vittoria suggella il suo trionfo. Utilizzando la tecnologia confiscata alla tedesca Messerschmitt, a Seattle costruiscono il primo jet militare, il B-47 a reazione, seguito dal B-52, un mostro con otto motori sotto le ali, concepito espressamente per portare bombe nucleari nel territorio dell’Unione sovietica. Un successo clamoroso, ancora in uso cinquant’anni dopo (ha giocato un ruolo essenziale nelle due più recenti guerre aeree, quella combattuta in Iraq nel 1991 e quella in Serbia e Kosovo nel 1999).

Schiacciata da Airbus negli aerei di linea e da Musk nei voli stratosferici. Se fosse vivo Bill Boeing, lui sì che cambierebbe di nuovo mestiere

I grandi aerei sono la vera specialità della Boeing anche nei voli passeggeri: dal 314, il jumbo degli anni 30 che poteva trasportare 74 persone in Europa o in Asia volando senza scalo per rifornimenti, al 747, il jumbo jet che ha regnato dagli anni 70 al 2000. Ma Douglas e Lockheed non sono scomparse, anzi si sono fatte più aggressive, soprattutto la prima con i suoi DC-3 e DC-4 (il primo con cabina pressurizzata). Nell’aprile 1952, Boeing presenta il prototipo del suo aereo a reazione per trasporto passeggeri e merci, il 707, ma il volo inaugurale avviene solo nel 1958 tra New York e Bruxelles. Ci vogliono tre anni prima che Douglas, spinta soprattutto dalla Pan Am, cominci a produrre il suo DC-8 ancora più grande del 707. Juan Trippe, il big boss della compagnia aerea, è un entusiasta del volo a reazione (come lo sarà del supersonico) e svolge un ruolo determinante nello stimolare la concorrenza tra i grandi produttori: li spinge a competere senza mezzi termini non solo nel prodotto, ma anche nei prezzi. Trippe ama giocare su due tavoli, e sempre rigorosamente con le carte coperte: stipula un accordo segreto con Douglas per il DC-8 e con Boeing per il 707, il suo obiettivo è essere il primo a impiegare i nuovi jet e ottenerli ai prezzi più bassi possibili.

Nell’estate del ’65, Juan Trippe e Bill Allen, allora presidente della Boeing diventata nel frattempo una public company, decidono di passare un lungo weekend a pesca in Alaska. E’ una di quelle tipiche vacanze maschili tanto amate da politici e manager americani. Affittano il Wild goose, l’oca selvaggia, lo yacht di John Wayne, e, tra un’esca e l’altra, lanciano l’idea di un gigantesco aereo passeggeri, un mostro da oltre 300 posti. “Se tu lo costruisci io lo compero”, promette Trippe. “Se tu lo comperi io lo costruisco”, replica Allen. Si lasciano così, ma tornato al quartier generale di Seattle, il capo della Boeing mette al lavoro i suoi ingegneri. Cominciano a ragionare su un velivolo a due piani, ma è sgraziato e troppo difficile da gestire, soprattutto nel caso di un’evacuazione d’emergenza. Vanno avanti per tentativi, finché non si sceglie di ampliare la carlinga e porre al secondo piano la cabina di pilotaggio e un deck di lusso. Anche su questo i desideri imperversano: chi vuole un cocktail lounge, chi un posto per il barbiere. Ma entro la fine del 1965 il progetto del 747 è pronto.

La Douglas, però, ha cominciato a discutere segretamente con Trippe un jet da 250-300 posti con tre motori a reazione, quello che poi sarebbe diventato il DC-10. Il vulcanico presidente della Pan Am che, con l’età, ha moltiplicato i suoi sogni, si spinge sempre più in là e teorizza che l’avvenire è nei viaggi supersonici: incoraggia il Concorde anglo-francese e discute con la Lockheed l’ipotesi di un gigante a tre piani. Interviene il governo americano, convinto che gli Stati Uniti non possono permettersi di lanciare sul mercato troppi jumbo jet, così il presidente Lyndon Johnson chiama alla Casa Bianca Trippe e Allen. Il meeting nell’Ufficio ovale è decisivo per la nascita del 747, anche se non risolve il problema della Boeing le cui finanze si stanno prosciugando, soprattutto da quando la Nasa prima riduce poi nel 1972 cancella il programma Apollo.

Il Secondo conflitto mondiale apre le porte degli hangar alle fortezze volanti. E qui Boeing non ha rivali. Poi arriva il jumbo per i passeggeri

Il jumbo resta il prodotto di maggior successo nell’industria aeronautica e quello che ha garantito il primato della Boeing. A lungo senza concorrenti nei jet a lunga distanza, ancora l’unico, alla fine del secolo, in grado di trasportare 400 passeggeri, sfrutta senza complimenti il suo primato. Chi vuole un 747 lo paga salato e con quei profitti la compagnia compensa le perdite negli altri segmenti. Eppure l’esordio era stato a dir poco sfortunato. Colpiti dalla crisi petrolifera, i jumbo volano semivuoti per tutti gli anni 70 e sembrano fatti apposta per distruggere i bilanci delle compagnie aeree. Sarà la globalizzazione che comincia a metà degli anni 80 a suggellare il successo del 747. Per costruirlo, Boeing ha edificato la più grande fabbrica del mondo. L’impianto sorge nello stato di Washington, sulla costa nord-occidentale degli Stati Uniti, anzi esattamente nella cittadina di Renton dalla quale provenivano i due senatori dello stato che si sono dati da fare, ça va sans dire. Boeing è rimasta a lungo una compagnia meno esposta agli intrighi della grande politica internazionale che hanno travolto Lockheed.

Nell’ultimo quarto di secolo il testa a testa con Airbus, che per ora prevale. Ma forse la notizia della morte del colosso è esagerata

Negli anni 70 un giro di mega tangenti fa cadere il primo ministro giapponese, il presidente della Repubblica italiana Giovanni Leone, la famiglia reale olandese e un’ampia schiera di politici europei. Uno scandalo dal quale, in sostanza, la compagnia americana si riprende solo diventando fornitrice per il Pentagono; durante l’onda di ristrutturazione dell’industria militare americana, innescata dalla fine della Guerra fredda, finisce nelle mani della Martin Marietta. Douglas invece ha vissuto la tipica crisi delle imprese famigliari. Colpito da ebbrezza senile, il fondatore Donald Douglas diviene una figura sempre più eccentrica, che passa la gran parte del suo tempo con l’amante Peggy Tucker, promossa in ranghi sempre più alti all’interno della compagnia. Fino al punto che è lei a controllare chi può avere accesso al big boss. La società è oberata da pesanti perdite e di fatto sempre più controllata dalla McDonnell, una compagnia di St. Louis, nel Missouri, forte soprattutto negli armamenti. Nel 1974, un Dc-10, il jet a tre motori che fa concorrenza al Tristar della Lockheed, si schianta al suolo dopo il decollo dall’aeroporto di Orly, a Parigi, uccidendo 346 passeggeri. E’ il peggiore, ma non l’unico incidente di un velivolo considerato insicuro. E si trasforma in un disastro commerciale. James McDonnell prende in mano le redini di quella che viene chiamata la McDonnell Douglas. La tiene in vita ancora per un quarto di secolo, ma perdendo sempre più terreno rispetto a Boeing. Quando nel ’97 viene assorbita dall’orso di Seattle, è praticamente in bancarotta e ha solo il 5 per cento del mercato dei velivoli civili. Ha mantenuto una buona quota di commesse militari (tanto che l’amministrazione Clinton tenta persino un salvataggio pubblico) e sono proprio queste che più interessano a Boeing, trasformatasi da gigante nell’aeronautica civile a vero colosso dell’aerospazio, con i cacciabombardieri invisibili per l’aeronautica militare, le commesse della Nasa e l’acquisizione della Rockwell, forte soprattutto nell’elettronica militare.

Intanto, dall’altra sponda dell’Atlantico, o meglio da Tolosa, tutta mattoncini rossi e architettura lombarda, decolla il più acerrimo concorrente nei voli commerciali: Airbus, nato come consorzio tra Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna, diventato poi una vera e propria azienda, ha costruito aerei che tengono testa alla Boeing, anzi sono persino più avanti tecnologicamente e più vantaggiosi. Tra i due numeri uno si scatena una battaglia che finisce sui tavoli dei governi. Bill Clinton aiuta la Boeing, il presidente francese François Mitterrand e persino il principe Charles si spendono per Airbus, tutti loro fanno i commessi viaggiatori presso la monarchia saudita per accaparrarsi le sontuose commesse. E’ il 1993 e poco dopo arriva la coltellata alla schiena della Boeing: l’ex astronauta Frank Borman, divenuto presidente della Eastern Airlines, decide di acquistare una cinquantina di A300. Non ha i quattrini ma non importa: Airbus fornisce gli aerei e il denaro per acquistarli. Concorrenza sleale, accusa la Boeing, l’azienda europea a sua volta rinfaccia i copiosi contratti con il governo americano. Un contenzioso che non avrà mai fine. Nell’ultimo quarto di secolo è un testa a testa tra Boeing e Airbus, ora prevale il costruttore di Tolosa. La vera minaccia, però, viene da Elon Musk con i suoi sogni spaziali: comunicazioni via satellite, missili, razzi che vanno e vengono, l’uomo su Marte. La Nasa lo sostiene, Airbus è in ritardo così come tutta l’industria spaziale europea, e Boeing non tiene il passo. Ci si mettono anche i guai tecnici e i problemi di sicurezza, i dazi alla Cina sono un vero colpo basso. Attenti, però, anche per il colosso di Seattle come per Mark Twain la notizia sulla sua morte è quanto meno esagerata.

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