Il “vada avanti” detto dal Papa all’ex direttore di Avvenire, Marco Tarquinio

“Il mio approccio con Francesco è stato umile, quello di una persona che ha cercato di ascoltarlo, più che di intervistarlo”, dice il giornalista che ora siede a Strasburgo con il Pd. Il colloquio

È morto il papa E.T che telefonava a casa dei fedeli, il “pastore in mezzo alla gente” che andava nelle carceri e, davanti ai detenuti, pensava: “Perché è caduto lui e non sono caduto io?”. Dal suo primo “fratelli e sorelle, buonasera” sono passati dodici anni. Marco Tarquinio, oggi europarlamentare civico eletto con il Pd di Elly Schlein, quella sera del 13 marzo 2013, racconta al Foglio, aveva appena chiuso in un’ora e mezzo diciassette pagine del quotidiano Avvenire, da lui diretto dal 2009 al 2023. “Il mio approccio con Francesco è stato umile”, dice, “quello di una persona che ha cercato di ascoltarlo, più che di intervistarlo. Dicevo ai colleghi: guardate che noi Francesco lo intervistiamo tutti i giorni, lui stesso è risposta alle domande sul mondo che proponiamo sul giornale. Ecco, in questo mi sono sentito confermato in quello che facevo e facevamo insieme. Ma ho anche chiesto, in certi momenti”. Per esempio? “Quando il papa ha parlato della ‘prudenza necessaria’ nell’affrontare alcuni temi, come il governo umano delle migrazioni e dell’accoglienza. ‘Padre santo, c’è un’imprudenza nel lavoro che stiamo facendo?’. E lui mi ha risposto con una triplice esortazione: vada avanti, vada avanti, vada avanti. Ed è una delle cose che porto nel cuore”.

Il papa non parlava soltanto a parole: tutti ricordano l’immagine di Francesco solo, in mezzo a piazza San Pietro, ai tempi della pandemia. “Lo ha fatto per tutto il pontificato, tanto che feci preparare, a un certo punto, una serie di analisi sull’ ‘Enciclica dei gesti’, cosa che è diventata evidente e potente dal Covid in avanti”. C’è poi il papa sofferente degli ultimi giorni — che però esce tra i fedeli. “In questo”, dice Tarquinio, “c’è analogia con la fine del pontificato di Giovanni Paolo II, altrettanto eloquente nell’interpretare la debolezza del corpo e la forza dello spirito: Giovanni Paolo II senza più voce, Francesco che alla fine l’ha ritrovata, la voce che tanto ci è mancata”. Il primo incontro tra il Tarquinio direttore e Bergoglio? “Avevamo preparato venti profili di possibili papi. Bergoglio era ovviamente uno dei venti, ma avevamo pronte soltanto tre pagine, diventate appunto diciassette nella miracolosa adrenalina della ‘cucina’ del giornale, grazie ai miei colleghi. Io in contemporanea scrivevo l’editoriale e facevo due collegamenti tv. Pochi giorni dopo, il 16 marzo, giorno del mio compleanno, ho stretto la mano a Francesco, tra gli altri seimila giornalisti della sala stampa. Era il giorno del discorso sulla chiesa povera per i poveri. Parlava una lingua mista, Francesco, sospesa tra italiano e spagnolo. E noi siamo sempre corsi dietro ai suoi meravigliosi neologismi. Come ‘balconear’: stare al balcone, sopra la vita degli altri, per guardare, magari giudicare e non agire”.

Il papa ha lasciato un’eredità forte ai pacifisti come Tarquinio, vedi su Ucraina e Medio Oriente. Il Pd sul riarmo europeo si è diviso. C’è qualcosa da dire a Elly Schlein sul tema “non tradire la parola del papa”? “Il papa era presente per la pace in ogni angolo del pianeta, la politica è traduzione laica dei valori ideali e dei riferimenti cristiani che per me sono cogenti, forti, e per altri magari non lo sono altrettanto. Ma la forza del magistero di Francesco è che ha parlato a tutti, a chi credeva, a chi non credeva, a chi credeva in modo diverso rispetto a lui e a me. E il lascito di Francesco non riguarda solo una forza politica, interpella fortemente il campo che ho scelto, quello delle forze progressiste. Per me non esiste centrosinistra o sinistra democratica che non sia anche partito della pace e di una scelta tenace verso una politica che capovolga le ragioni della guerra e che sia essa stessa antidoto alla guerra. E credo questo sia anche il compito delle forze di ispirazione popolare che si dichiarano apertamente democratiche, democratico-cristiane, cattolico democratiche. Per chi ha scelto di stare dalla parte dei più deboli, la pace è un mandato imperativo”. In tempi di riarmo europeo? “Da indipendente e da europarlamentare cerco di dire, ridire e dimostrare, dati alla mano, magari citando Carlo Cottarelli, economista di altissima levatura che ha dichiarato il suo voto per Azione, e che non può essere quindi accusato di irenismo come me, che bisogna agire per usare bene i soldi che già spendiamo a profusione per le armi in Europa. Difendersi e mettere in piedi una difesa comune non vuole dire costruire sistemi militari, vuol dire interpretare realisticamente l’idea – cosa difficile ma possibile – che ci sia la possibilità di un disarmo mentre ci si prepara a non essere del tutto vulnerabili. E ricordo che il papa ha citato per due volte, in diversi contesti, l’articolo 11 della nostra Costituzione”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l’Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l’hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E’ nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.

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