La recensione del libro di Stuart Jeffries edito da EDT, 456 pp., 28 euro
Se la critica al postmodernismo non fosse anche un problema pratico, forse non varrebbe la pena discuterne. Per questo “Tutto, sempre, ovunque: come siamo diventati postmoderni” parte con un dato di fatto: la distrazione. L’autore non lo dice fino alla fine, quando passeggiando per i quartieri londinesi si ferma a riflettere sulla cosiddetta architettura postmoderna (fatta di citazioni, rimandi ad altri edifici e ironia): “Alcuni dettagli, leggo, sono citazioni da altri quartieri, inseriti per puro divertimento. Quello che vogliamo dalle nostre case, mi chiedo, è che siano spiritose?”. E poche righe più in fondo risponde: “Ciò che apprezzo, invece, passeggiando per i quartieri di Belvoir e Highcroft, è qualcosa d’altro. Le ampie curve degli atri e delle scale di Hillrise Close sono state pensate per far muovere comodamente le sedie a rotelle e gli scooter per disabili dei residenti”.
E’ per questo che quella al postmodernismo è prima di tutto una critica all’immobilismo. E’ quel che dice Martha Nussbaum polemizzando con il femminismo di Judith Butler, che certo a qualcosa ha portato, ma con quali tempistiche e in che forma? Forse ha ragione Francis Fukuyama, anche lui citato, a dire che il postmodernismo slatentizza il capriccio, che da Baudrillard a Derrida diventa premessa necessaria per analisi irrazionali e infondate. Jeffries lo dice da sinistra, citando filosofi e autori che da decenni tentano di imporre nel dibattito una teoria politica alternativa a quella postmoderna. La tesi principale è questa: il postmodernismo nasce insieme al neoliberismo, che lo assorbe completamente. E’ postmoderna, ma anche neoliberista, la teoria queer; è postmoderna, ma anche neoliberista, la rivolta dei desideri dei post-strutturalisti, il puro piacere e la speranza antifreudiana di una società senza padri.
La metafora perfetta del postmodernismo è tutta nelle basi teoriche di uno dei classici di questa corrente, L’anti Edipo di Deleuze e Guattari: due filosofi si fissano con una vespa che confonde un’orchidea per una vespa e finisce per impollinarla, dimostrando secondo loro che l’identità è per sua stessa natura fluida e ingannevole, che persino le verità scientifiche sono racconti e convenzioni. Tutto molto interessante, sennonché l’11 settembre 2001 si torna alla realtà. Quella degli aerei che si scontrano con le Torri gemelle, quelli della guerra di ritorsione. Persino l’invidia che gli artisti postmoderni provano per l’attentato (niente potrà destare altrettanto stupore, sostengono) è un fatto, non un’interpretazione. E non si creda che il postmodernismo sia solo di sinistra. I populismi di destra sono anch’essi postmoderni e persino ciò che si credeva essere rivoluzionario rientra nella logica del neoliberismo omologante. Non a caso Jeffries scrive, recuperando un concetto dello storico Perry Anderson: “Il bitcoin è plebeo”.
Stuart Jeffries
Tutto, sempre, ovunque
EDT, 456 pp., 28 euro