Appunti per chi si lamenta che la morte del Papa monopolizza l’informazione

Partite e concerti annullati, palinsesti trasformati. È tutto vero ma è normale: chi non riconosce che l’Italia è culturalmente cattolica e che il suo legame con il papato è più antico dei valori repubblicani nega l’evidenza

Succede a ogni morte di Papa (letteralmente), ma succede sempre: qualcuno protesta perché i mezzi di comunicazione sono monopolizzati, permeati, posseduti dalle notizie su Bergoglio; le partite di calcio vengono rinviate, i concerti annullati, i palinsesti di tutte le reti trasformati nella riproduzione su vasta scala di quelle minuscole emittenti private intente ogni giorno a trasmettere materiale sacro a beneficio dei cristiani infermi, anziani, soli. Qualcuno agita la Costituzione, rivendica l’eguaglianza dei cittadini al netto della fede, denuncia il sopruso di non poter accendere la tv o aprire un giornale senza che si affacci il commosso ricordo del pontefice; qualcuno insinua che la stessa attenzione ossessiva non sarebbe stata dedicata al decesso di un grande imam, di un rabbino capo, del Dalai Lama. È vero. Ma, come è a dir poco sospetto nei toni il profluvio di incensamenti a reti unificate in cui si profonde l’Italia dei cattolici adulti e delle chiese vuote, così nega l’evidenza chi non vede che l’Italia è culturalmente cattolica, che il Vaticano sta a Roma e che la storia della nostra surreale penisola è legata ai Papi da radici ben più antiche dei valori civili della recente Repubblica. L’Italia clericale e l’Italia anticlericale non sono nient’altro che l’Italia allo specchio: due facce della stessa ipocrisia.

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