Nel suo ultimo libro, il cardinale Angelo Scola riflette con lucidità e fede sulla vecchiaia, non come fine, ma come soglia di un nuovo inizio. Papa Francesco, nella prefazione, invita a non temere questa stagione della vita, riconoscendola come parte autentica dell’esistenza
Se ci si fermasse al titolo e soprattutto al sottotitolo (“Nell’attesa di un nuovo inizio. Riflessioni sulla vecchiaia”, Lev, 80 pp., 10 euro), si potrebbe pensare che questo piccolo volume sia il testamento spirituale di un cardinale che ha vissuto una vita ricca di incontri, attività, sorprese e amarezze. Niente di più sbagliato e lo si comprende già subito, nell’Introduzione che Angelo Scola consegna al lettore: l’idea fondamentale del libro nasce dalla decisione “di mettere per iscritto alcune riflessioni scaturite dall’esperienza di questi ultimi mesi, in cui la vecchiaia mi è venuta addosso con un’accelerazione improvvisa e per molti aspetti inaspettata”.
Si dice che la morte sia la grande rimossa della contemporaneità, il tabù per eccellenza che viene scartato. Niente di più sbagliato, “e chi è anziano lo sa meglio di ogni altro. La nostra società cerca sì di rimuoverla ma non ci riesce perché come ha scritto il provocatorio romanziere francese Michel Houellebecq, la morte è un rumore di fondo che ci accompagna in ogni momento della nostra vita”. E’ la naturale, istintiva angoscia che ogni uomo prova di fronte al pensiero della “Straniera”, per citare Eliot. Più che la morte, insomma, a essere esorcizzata è la vecchiaia: o meglio, il binomio vecchiaia-saggezza che per secoli ha accompagnato il mondo.
Ed è questo – sottolinea Scola – uno dei principali fatti che segnala il netto cambiamento d’epoca che stiamo vivendo: “Nella cultura in cui siamo immersi, e che sta sempre più rapidamente contagiando tutto il pianeta, la prospettiva è opposta. I vecchi sono noiosi, sono brutti, sono inutili”. Dino Buzzati, in Orchidee ai vecchi, aveva già intuito tutto. Non c’è dubbio che “spiritualmente, psicologicamente e fisicamente la vecchiaia è tempo di indebolimento e di vulnerabilità”. E’ forte il nesso tra vecchiaia e morte, “ma questo di per sé non rende la vecchiaia un tempo vuoto. Piuttosto la urge verso una radicalizzazione di una serie di esperienze, comportamenti e abitudini, che sono propri della contingenza umana”. Indaga, Scola, questo tempo inquieto che la moda perbenista contemporanea ha edulcorato in “terza età”, dove s’assiste a “una perdita del senso del cosmo e della storia in cui si è immersi” al punto che non di rado diventa complesso capire “cosa attraversa il cuore dell’uomo vecchio di fronte al suo inevitabile processo di vulnerabilità mortale”. E’ l’esperienza personale dell’autore, quella della vecchiaia precipitata addosso rapidamente, a fare da filo rosso alla narrazione: non è un saggio segnato da cupio dissolvi, tutt’altro: è la spiegazione del perché la vecchiaia sia solo la soglia di un principio, non l’anticamera della fine. Certo, quante volte, davanti a un caro defunto ci chiediamo “come è possibile che risorga?”.
Se l’è chiesto anche il cardinale, quando vide il corpo straziato del fratello in un obitorio bresciano. Ma è la fede a dare la risposta, quando si assicura che la resurrezione della carne non sarà la rianimazione di un cadavere, ma sarà “vero corpo”. Scola cita sant’Agostino, Ratzinger, von Balthasar, Giussani; cerca quasi nelle loro parole il conforto, una spiegazione “razionale” a quel che accadrà. E allora ecco che l’aldilà diviene “non una fuga dalla vita, ma la sua piena realizzazione” e già ora, qui, “possiamo viverne un’anticipazione nell’amore, nella comunione e nella fedeltà”. Non è una lezione teologica, non è l’assicurazione che tutto andrà bene. Scola non tralascia i dubbi, le sofferenze e le solitudini. Anche il senso di inutilità che non di rado accompagna l’ultima stagione della vita.
Ma c’è anche altro, sia la preparazione all’incontro non con “qualcosa” ma con “Qualcuno”, sia l’invito a riscoprire un tempo di maturazione e di purificazione affettiva. Anche riflettendo sul tempo intermedio, quel “tempo-memoria” che imprime al passato ma anche al futuro un carattere presente e che è “dominato dal Risorto”. La Prefazione, firmata pochi mesi fa, è di Papa Francesco: “Sì, non dobbiamo aver paura della vecchiaia, non dobbiamo temere di abbracciare il diventare vecchi, perché la vita è la vita ed edulcorare la realtà significa tradire la verità delle cose”.