L’ex ministra condivide le richieste di Guido Crosetto. “Siamo di fronte a sfide nuove e ancor più rischiose, a cui bisogna saper rispondere. L’aumento delle spese militari non porta applausi. Ma i politici dovrebbero guardare al lungo periodo e parlare con chiarezza agli elettori. Questo non accade, tanto a destra quanto a sinistra”
“Credo che aumentare o, meglio ancora, pianificare una spesa militare al due per cento sia un obiettivo sensato, realistico. D’altra parte era stato già Lorenzo Guerini, da ministro della Difesa, a indicare questo obiettivo entro il 2028. Non è una novità. Adesso però è importante che gli investimenti siano utilizzati più che per comprare capacità dall’esterno, per far crescere la ricerca, la nostra tecnologia”. L’ex ministra Roberta Pinotti è convinta che l’Italia possa fare di più per la difesa. Condivide le richieste di Guido Crosetto, ma al contempo invita a non fare passi troppo lunghi. “Occorre prudenza”, dice al Foglio. “Bisogna anche tener conto delle altre necessità del paese, penso per esempio alla sanità, e armonizzare tutte le spese”.
Ieri il ministro della Difesa ha lanciato l’allarme: potremmo non essere in grado di difenderci. Onorevole Pinotti, è preoccupata? “In questi casi più che essere preoccupati serve essere realisti, ragionare sulle effettive esigenze”, risponde l’ex ministra della Difesa secondo cui il problema di oggi, oltre che da un quadro geopolitico mutato negli ultimi anni, deriva dalle scelte (non) maturate in tempi di pace. “E non solo in Italia, ma un po’ in tutta Europa. Abbiamo immaginato un mondo dove la conflittualità andasse scemando, lasciando la Difesa in ombra. Ricordo che quando ero ministra gli investimenti in questo settore arrivavano all’1 per cento del pil, una quota molto più bassa di quella odierna, che è oltre l’1.5, comunque ancora lontana dall’obiettivo”.
Per molto tempo, ricostruisce Pinotti, si è fatto affidamento sull’ombrello americano, poi è arrivato Trump. Ma già prima di lui, pur con approcci assai differenti, l’America aveva mandato un messaggio simile: l’Ue investa di più. La ritirata americana dall’Afghanistan nel 2021 – “una decisione assunta dallo stesso Trump ed ereditata da Biden, è bene ricordarlo” – che l’Europa aveva accettato obtorto collo, ha mostrato i limiti della autonomia europea. Adesso come si recupera? “L’obiettivo deve essere: spendere meglio e di più, così da costruire insieme in Europa le capacità che oggi mancano e lavorare sull’integrazione delle forze nazionali”. E’ un percorso complicato, dice ancora Pinotti. “Non è come fare shopping. Sono programmi lunghi, anche trentennali, complessi a livello industriale e tecnologico”. Non si tratta semplicemente di comprare nuovi strumenti, ma di creare le condizioni per produrre a livello europeo. “E non mi riferisco solo alle armi. Quando sono diventata ministra, nel 2014, non esisteva ancora un Comando cyber. E’ stato istituito con il nostro governo. Ma intanto in dieci anni è cambiato il mondo”. Sono cambiate le tecnologie, gli attori in campo e pure le minacce. “Oltre alla cybersicurezza c’è lo spazio, le comunicazioni satellitari. Senza dimenticare il tema centrale dell’underwater, come ci hanno ruvidamente ricordato gli Houthi nel Mar Rosso e prima ancora la vicenda del Nordstream. Accanto agli stati operano inoltre organizzazioni non statuali. Sfide nuove e ancor più rischiose, a cui bisogna saper rispondere”. Così la deterrenza assume nuove forme. Non più semplicemente mostrare i muscoli. “Ma avere anche la capacità di prevenire, ovvero immaginare i pericoli del futuro e quindi attrezzarsi per essere reattivi ai cambi di scenario”. Al netto della necessità della Difesa c’è anche, e Pinotti lo ricorda più volte, un tema economico, di bilancio. L’Ue con ReArm ha messo in campo un piano che si propone anche di sostenere i singoli stati. Sarà efficace? “E’ stata una prima risposta, ed era necessaria. Ora bisogna migliorare. 800 miliardi sembrano una cifra importante, ma in realtà sono 150 ‘europei’ e 650 che possono essere decisi sui bilanci dei singoli stati. Ma resta un problema connesso al debito dei singoli paesi”. Quale allora la soluzione? “Io avrei voluto gli euro bond: debito comune per una difesa comune, lo strumento migliore per quella che ritengo un’esigenza prioritaria”.
Non sarà facile, con un dibattito così polarizzato. Spesso la politica fatica a entrare nel merito delle questioni. “E’ particolarmente difficile da noi. Un recente sondaggio dell’Eurobarometro rivela che l’Italia è la nazione dove più di tutte si fatica a comprendere che la spesa militare è necessaria, dove si condanna meno Putin, dove c’è la più bassa propensione a sostenere l’Ucraina”. Come mai? “Perché la difesa è una materia difficile, non porta applausi. Ma i politici dovrebbero guardare al lungo periodo, spiegare e parlare con chiarezza agli elettori. Purtroppo – conclude Pinotti – mi sembra che tutto questo non accada, tanto a destra quanto a sinistra”.