“Non sono trumpiano ma crosettiano”, dice il ministro della Difesa Guido Crosetto. “Trump e Giorgia non si sono mai amati”, spiega Alessandro Sallusti. E poi Rampelli, Procaccini, Marsilio: “Con Trump i rapporti sono istituzionali. Meloni? Mai stata una cheerleader in cravatta rossa”. Fini: “Trump è imprevedibile”
Io trumpiano? Sono crosettiano”, dice al Foglio il ministro della Difesa Guido Crosetto. E allora il direttore del Giornale Alessandro Sallusti spiega: “Credo che Meloni non abbia mai amato Trump”. Il paradosso è che proprio adesso che lei, Giorgia Meloni, sta per volare a Washington per scongiurare il rompicapo dazi, uomini di partito, uomini di pensiero, padri nobili, ministri e fondatori di FdI si smarcano da Trump. “E’ imprendibile. Imprevedibile. Siamo ormai fuori dalla politica, transitiamo nel campo della psicologia”. Della psichiatria? “Questa è la fine del Novecento”, dice il padre della destra Gianfranco Fini. Ancora Sallusti: “Meloni e Trump sono chiaramente pianeti diversi”. Segue Vittorio Feltri: “Non mi pare che Meloni abbia particolare problemi con Trump, ma i dazi hanno proprio rotto i coglioni”. E infine le prese di distanza garbate del vicepresidente della Camera Fabio Rampelli che dice: “I rapporti con Trump sono istituzionali, esattamente come lo erano con Biden”. Che però era democratico. E anche i passi indietro, o di lato, del copresidente di Ecr Nicola Procaccini: “Meloni ha dimostrato di non essere una cheerleader di Trump”.
Prosegue l’eurodeputato Procaccini: “Meloni non ha mai indossato la cravatta rossa”. Uno smarcarsi che si estende sui territori, fino al presidente dell’Abruzzo Marco Marsilio: “Sinceramente non so cosa voglia dire essere trumpiani in Italia”.
Ed ecco. Il venticello che nell’ultima settimana è spirato in Transatlantico adesso si condensa. Diventa palpabile. C’è infatti qualcosa, nell’aria, che spinge Fratelli d’Italia, il partito della premier Meloni, sempre più lontano da Donald Trump. E’ l’estenuazione per i dazi, è il malanno da montagne russe, è l’imprevedibilità del personaggio e delle sue politiche economiche. E’ tutto questo – e la somma dei fattori – che due giorni fa ha indotto il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, a dirci: “Sono di destra, ma non sono trumpiano”. E poi un altro ministro, stavolta anonimo, a bisbigliarci che in fondo sarebbe stato meglio se avesse vinto “Kamala”. La candidata democratica poi risultata perdente – Kamala Harris – che pur essendo di genìa politica progressista, non avrebbe turbato lo status quo. Almeno non nelle aspettative.
In queste ore, intanto, si raccolgono interviste. Al tatto assai fredde. Il ministro per gli Affari europei e per il Pnrr Tommaso Foti lo dice in chiaro alla Stampa: “Che il presidente americano sia imprevedibile non è una novità”. Il suo successore in veste di capogruppo alla Camera, Galeazzo Bignami, ha ripetuto giusto ieri, su queste pagine, che i rapporti con il tycoon sono di carattere istituzionale, “come lo erano con Biden”. E insomma l’uomo che pareva lo zio d’America, il parente d’Italia, l’affine di Giorgia Meloni di là dell’Atlantico, è oggi una seccatura. Alessandro Sallusti ne è convinto. E mette a fuoco in che senso, per l’anonimo ministro di FdI, Kamala Harris sarebbe stata il presidente migliore. “Aver ragionato, durante le elezioni statunitensi, in termini di destra e sinistra – dice Sallusti – catalogando Trump a destra e reputandolo perciò amico, è stato un errore da provinciali. Noi siamo europei e conservatori, e in quanto tali per Donald Trump siamo molesti. Sicché ci ritroviamo, ora, con un ‘amico’ che rischia di farci la guerra e una ‘nemica’, Kamala Harris, che ci avrebbe verosimilmente trattati meglio. Detto questo – conclude il direttore del Giornale – Giorgia Meloni ha a cuore l’occidente, è conservatrice di ben altro ramo, non se la prende se Trump dice ‘Kiss my ass’ perché bada alla sostanza, vive nel mondo reale. Insomma è della Garbatella, ma è una donna di mondo”.
E però, genealogie a parte, davvero nel partito è in atto un ravvedimento? Davvero essere trumpiani ed essere “di destra”, in Italia, è sempre più una contraddizione? “Trumpiano è un aggettivo surreale – ci risponde il ‘gabbiano’ Fabio Rampelli, maestro della premier –. In ogni caso, è normale che con Trump ci sia un rapporto istituzionale, così come ottimo era il rapporto con Biden”. Nicola Procaccini, dal canto suo, non nega una maggiore vicinanza politica con il presidente repubblicano. Anche se Meloni, aggiunge Procaccini, “ha un senso dello stato che prescinde dall’appartenenza politica”. Per usare le parole di un amministratore che poco sta a ragionare sui massimi sistemi e si affida alla praticità, il presidente dell’Abruzzo Marco Marsilio, “non mi pare una grande novità che a destra ci si senta culturalmente più vicini ai repubblicani e a sinistra più vicini ai democratici. Ma questo non vuole dire essere tifosi o sudditi”.
Così, a pochi giorni dal “viaggio della speranza” (copyright ministro Lollobrigida), che dovrebbe finalmente assegnare alla premier il ruolo di donna-ponte tra le due sponde dell’Atlantico, nel principale partito di maggioranza s’avverte una distanza come forse mai s’era avvertita prima. Della serie: noi trumpiani? Kiss my ass.