“Mille giorni d’accompagnamento per i neogenitori”. Le nuove sfide etiche spiegate dalla ministra per la Famiglia
A volte le chiacchiere stanno a zero. Come quando, una decina di giorni fa, l’Istat ha comunicato il suo aggiornamento annuale degli indicatori demografici. Certificando un nuovo record di denatalità, nel 2024 pari 1,18 figli per donna, al di sotto del minimo storico del 1995. Pochi discorsi di politici e giornali, qualche lagna al massimo, tanta è l’evidenza che ormai la questione demografica, non soltanto in Italia, è divenuta un fattore centrale di un declino che riguarda tutti. Nel 1995, infatti, erano nati 526 mila bambini, lo scorso anno solo 370 mila. “E anche se volessimo immaginare di riportare le nostre nascite a quel livello di 500 mila sarebbe impossibile: oggi, in relazione alle donne in età fertile, che sono molto diminuite, sarebbe come porre un tasso di natalità di tre o quattro figli per donna”, commenta col Foglio Eugenia Roccella. Le tradizionali politiche in favore della natalità – mai state troppo robuste in verità, e molto in ritardo rispetto a quanto fatto ad esempio dalla Francia a partire dagli anni Ottanta, e che infatti qualche risultato hanno prodotto – non hanno più validità nell’attuale situazione.
Così, per una volta, stanno a zero le chiacchiere anche rispetto al nuovo Piano nazionale per la famiglia per il 2025-2027 voluto dalla ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità e che ha appena ricevuto il via libera dalla Conferenza Unificata: ci sono scelte da fare, azioni da mettere in campo, “strutturali e di lungo periodo”, dice Roccella, “con una visione davvero innovativa rispetto alle precedenti politiche”. Perché appunto le strade vecchie non portano in nessun luogo e all’origine, da affrontare in tempi lunghi, “ci sono problemi che sono innanzitutto culturali”. Il primo problema di tipo culturale corrisponde al fatto che “per molti decenni nei paesi occidentali si è coltivata una mentalità antinatalista, sostenuta anche da robusti programmi tesi a limitare le nascite, ci ricordiamo quando si parlava di bomba demografica, espressione persino minacciosa. Ora ci si è accorti che non far fare figli, soprattutto nei sistemi autoritari, è molto più facile che invitare poi a farne: il caso della Cina è emblematico”. Non si torna indietro. “No, e nemmeno si deve. Bisogna trovare nuove strade di lungo periodo per sostenere la libertà di avere figli”.
Dunque il nuovo Piano. La caratteristica principale? “Punta innanzitutto su questa novità, i Centri per la famiglia. Ne esistono già circa 600 in tutta Italia, su base regionale, quasi 200 in Lombardia, ma l’intento è di farli diventare dei veri e propri ‘Caf’ famigliari: punti territoriali che offrono servizi, certo, ma anche informazione alle famiglie e ai giovani che desiderano figli. C’è infatti anche un difetto di comunicazione: lo scorso anno abbiamo prodotto oltre 16 miliardi di benefici diretti o indiretti per le famiglie. Ma per il fatto che abbiamo posto il tema famiglia come trasversale a tutti i ministeri, non sempre chi ha un bisogno sa che una risposta esiste”. Il Piano vuole essere invece una sorta di quadro di coordinamento di politiche oggi divise in competenze diverse.
“Ci sono competenze che sono in capo alle Politiche sociali, altre all’Istruzione, come gli asili nido, altre alla Sanità e al welfare: le politiche pro family esistono, ma sono orizzontali e perciò non sempre immediatamente visibili. Da qui l’idea dei Centri territoriali”. Ci sono i “trasferimenti diretti”, i nuovi bonus che hanno affiancato l’assegno unico, ci sono le politiche di conciliazione e le facilitazioni per il rientro al lavoro: tutte cose su cui l’Italia è indietro rispetto ad altri paesi, dunque è giusto adeguarsi. Bastano? “Da sole no, tra l’altro vediamo che in paesi dove la conciliazione è avanzata, si fatica ugualmente a invertire le tendenze demografiche. La curva si stabilizza. E’ un problema sociale, perciò credo che sia importante un altro punto cui stiamo lavorando: il cosiddetto accompagnamento dei mille giorni”. Di che cosa si tratta? “Di figure che affianchino la famiglia, soprattutto le madri, dal concepimento ai primi anni. Oggi la condizione di solitudine di una donna, e di una coppia, con un figlio si è aggravata, non c’è più una rete famigliare, la stessa ‘abitudine’ che altre generazioni avevano anche solo a tenere in braccio un bambino non c’è più. Serve un aiuto che non è solo sanitario, solo di welfare, solo di cura. E’ un accompagnamento che coinvolge tutto”. Nel testo si legge: “Contribuire a supportare la maternità, la paternità e la genitorialità”.
Non crede però, la ministra Roccella, che tutto questo non sia sufficiente a invertire una tendenza antinatalista che è profonda, ormai accettata e radicata, soprattutto nelle nuove generazioni? Oggi rispetto alla natalità prevale l’idea di libertà di non averne, di figli. “Ma la libertà di non avere figli nessuno la nega, anzi. Quello che manca è invece il sostegno alla libertà di essere genitori, famiglie”.
Si inizia a parlare anche da noi di una tendenza crescente nell’America trumpiana per contrastare il “declino demografico dell’occidente”, quella di un pro natalismo volto a evitare le “sostituzione etnica” e basato molto sul contributo della tecnologia medica, sulla procreazione in vitro, geneticamente controllata. Una strada pericolosa? “Abbiamo molto discusso, già in passato, dell’allarme relativo a queste ideologie in sostanza di tipo transumanista. Ci sono problemi etici evidenti. Ma non direi che è una tendenza tipica della destra: basta ricordare i nostri dibattiti sulla Pma, piuttosto che sul tema delle diagnosi preimpianto: sono sempre stati argomenti di sinistra, progressisti. Io non sono per nulla contro alle tecniche mediche che possono migliorare le condizioni di natalità, di salute. Ma è evidente che esistono aspetti da valutare. Per questo ritengo che il primo lavoro da fare è di tipo culturale, e sociale. Un tempo l’espressione ‘tutela sociale della maternità’ era di sinistra. Se ora sembra ‘una cosa di destra’ ci si dovrebbe interrogare sul perché”.