Contro la violenza di genere. Cose da sapere e da fare per prevenirla

Voler bene alle donne significa non lasciarle sole: educazione, ascolto e indipendenza economica sono la chiave per prevenire la violenza di genere, più che nuove leggi. L’appello della parlamentare di Coraggio Italia

Al direttore – Voler bene davvero alle donne significa anche, e forse prima di tutto, non lasciarle sole. Soprattutto quando il pericolo è già nell’aria, quando i segnali ci sono, ma non li si sa vedere o – peggio – si sceglie di ignorarli. Gli ultimi due omicidi efferati di studentesse, con un coinvolgimento diretto o indiretto delle famiglie, ci impongono una riflessione più profonda di quelle che si limitano a invocare nuove leggi o pene più dure. La violenza di genere è un fenomeno strutturale e collettivo, e chiama in causa tutti: istituzioni, comunità, scuole, famiglie. E prima di tutto chi cresce i figli, chi li educa, chi li ascolta o smette di ascoltarli. La famiglia è la prima agenzia educativa. Lo diciamo spesso, quasi per automatismo, ma facciamo sempre più fatica a crederci e ad agire di conseguenza. L’educazione sentimentale – la più importante di tutte – inizia a casa, non a scuola. E non può essere demandata a un’ora alla settimana o a una campagna pubblicitaria per la Giornata contro la violenza. Dobbiamo riappropriarci di modelli genitoriali basati sull’ascolto, sull’attenzione, e anche sul coraggio di dire no. Perché in certe situazioni, dire no significa salvare una vita. Non quella di chi sbaglia, ma di chi rischia di subirne le conseguenze.

Sono stata sconvolta – e non è una parola che uso alla leggera – nell’apprendere che nel caso di Ilaria Sula, l’omicida è stato aiutato dalla madre a ripulire le tracce del delitto. E’ un gesto che racconta molto più di mille discorsi sul degrado morale: racconta la rimozione del confine tra giusto e sbagliato, tra affetto e complicità. E soprattutto racconta l’assenza di una rete. Perché quando la famiglia si chiude su sé stessa, quando la scuola non sa vedere, quando i vicini non parlano, allora la prevenzione diventa impossibile. Eppure, non tutti sanno che l’ammonimento del questore, ad esempio, può essere richiesto non solo dalla vittima ma da chiunque rilevi un pericolo. E’ una responsabilità sociale, non solo giudiziaria.

Non basta punire, serve prevenire. E la prevenzione ha molte forme, tutte legate alla cultura. Educazione, formazione, specializzazione, informazione. Ma anche consapevolezza del contesto. Perché se è vero che nessuno nasce violento, è altrettanto vero che la violenza cresce meglio dove la si lascia stare, dove la si considera normale, dove le donne non hanno la possibilità concreta di uscirne. In Italia troppe donne dipendono ancora economicamente da un partner o da un familiare. Questo limita la loro libertà e le espone a una vulnerabilità che è il terreno perfetto per il controllo, il ricatto, l’abuso.

Una donna su tre non ha un conto corrente. Una su tante non sa nemmeno di avere diritto al “reddito di libertà”, né che esiste un microcredito pensato per aiutare chi vuole ricominciare. Non sa che ci sono sgravi per le aziende che assumono vittime di violenza, né che si può sospendere il mutuo. L’indipendenza economica non è un orpello, è un prerequisito della libertà. Per questo occorre promuovere l’educazione finanziaria fin dalla scuola materna, e anche nei luoghi di lavoro. Servono strumenti, ma soprattutto serve che le donne li conoscano. Serve una rivoluzione gentile che metta le competenze economiche al centro della formazione femminile, senza aspettare l’emergenza.

C’è poi un altro fronte, quello legislativo, su cui qualcosa si sta muovendo. Il disegno di legge che introduce nel nostro ordinamento il reato di femminicidio è un passo importante. Non perché le vite delle donne valgano più di quelle degli uomini, ma perché la specificità della violenza che le colpisce – in quanto donne – è un fatto, non un’opinione. Il nuovo reato prevede l’ergastolo per chi uccide una donna per odio, discriminazione o volontà di sottomissione. Si colma così una lacuna: fino ad oggi, l’uccisione di una ex fidanzata non prevedeva la pena massima.

Martina Semenzato

parlamentare di Coraggio Italia

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.