Il premier Gabriel Attal è la scommessa per proiettare il macronismo nel futuro e per scalzare l’altro giovanissimo, il lepenista Bardella
La Francia fa rima con “slancio, con audacia, con grandezza”, ha detto Gabriel Attal nel suo discorso di investitura davanti a Matignon. Il nuovo premier francese ha parlato per un quarto d’ora, con i foglietti che gli tremavano in mano, forse per il freddo, forse per l’emozione, ha ringraziato Emmanuel Macron che lo ha scelto, ha ricordato che troppi francesi si sentono mesti e pessimisti, ma sbagliano, perché il loro paese è pieno di risorse e di guizzi, ha elencato le sue priorità – il lavoro, la semplificazione della vita delle aziende, i giovani e la scuola – e ha detto: ora potete contare su di me. Il premier-più-giovane-della-storia della V Repubblica, il trentaquattrenne dei record di “prime volte” – è già stato segretario di stato, sottosegretario, portavoce dell’Eliseo e ministro dell’Istruzione – è non soltanto il modo con cui Macron vuole rilanciare il suo secondo mandato ma anche forse il traghettatore del macronismo oltre lo stesso Macron. In questo premier giovane e politicissimo molti hanno rivisto non soltanto il presidente che iniziò la sua marcia nel 2016 scardinando a sorpresa il bipartitismo francese, ma anche – chissà – un delfino. Finora il presidente aveva scelto per Matignon delle figure che non lo mettessero troppo in ombra, degli esecutori che facessero da parafulmine senza troppi scossoni per l’Eliseo, invece ora sceglie un premier popolare – secondo alcune rilevazioni, per quel che valgono, il più popolare – ma anche vistoso, per la sua età, per la sua ascesa, per la sua competenza. Nel 2027, Macron non potrà più candidarsi alla presidenza: mancano tre anni e tutto può succedere – la storia politica francese è fatta di rovesci improvvisi e scandalosi e nella V Repubblica nessun premier è diventato presidente appena uscito da Matignon – ma tra i tanti problemi che Macron ha c’è anche quello di costruire un futuro per il macronismo, a meno che non immagini, après lui, il diluvio. Attal, che cresce nel Partito socialista, approda a En Marche e riesce a mantenere un dialogo tutto sommato proficuo con le destre (tanto che un esponente della sinistra radicale della France insoumise ha chiesto un voto di fiducia all’Assemblea nazionale al grido: Attal non è mai stato di sinistra), potrebbe essere l’erede giusto di una stagione politica che non vuole essere una parentesi. Ma intanto ci sono le contingenze: le riforme che arrancano, la vita parlamentare guastata dall’assenza di maggioranza del partito del presidente, che ora si chiama Renaissance, la piazza in perenne subbuglio, la destra del Rassemblement national in continua ascesa, le elezioni europee che sono già state definite le elezioni di metà mandato di (o meglio: contro) Macron. Qualcuno degli anziani dubita della capacità di Attal di saper gestire tante emergenze; altri dicono che Attal ha lo stesso difetto del presidente: è percepito come distante, il frutto freddo di una classe dirigente che conosce i palazzi ma non i francesi. Girava sui social una mappa di Parigi con i luoghi di Attal – una vita trascorsa tra gli arrondissement centrali della capitale: come può un trentenne agiato, che ha studiato in scuole esclusive, con il padre di origini ebraiche ma cristiano ortodosso per via della famiglia della madre originaria di Odessa, salvare il macronismo dalla sua impronta elitaria? Per ora la risposta è soltanto la scommessa di Macron, con quel che Attal ha dimostrato fin qui negli incarichi che ha ricoperto – in particolare all’Istruzione – e nella capacità di mostrare umanità, soprattutto quando ha parlato di suo padre, morto per un tumore fulminante nel 2015.
I malumori. “La scelta di Attal va letta come un ritorno alle origini del macronismo nel suo carattere disruptive: è il più giovane primo ministro della V Repubblica, non ha molta esperienza sul campo, ed è un macronista della prima ora”, ci dice François-Xavier Bourmaud, giornalista dell’Opinion che segue l’Eliseo. Quello di Attal, sottolinea Bourmaud, è un profilo che produce lo stesso effetto prodotto da Macron nel 2017: quello di “ringardiser”, ossia di rendere superate molte vecchie volpi della politica francese. Come il leader centrista del MoDem e pilastro della maggioranza François Bayrou, e il ministro dell’Economia Bruno Le Maire, che infatti hanno fatto di tutto per far saltare la nomina. “C’è un scontro di autorità tra i ministri con una certa esperienza alle spalle e il giovane che arriva all’improvviso al centro del palcoscenico. Stiamo assistendo a un’evoluzione naturale della macronia. I cosiddetti ‘grognard’ si ritrovano ora a incarnare loro stessi il sistema. E temono di non avere più il peso che avevano prima. Per Macron la scelta antisistema è Attal. E’ in corso un salto generazionale”, dice Bourmaud. Secondo il giornalista dell’Opinion, “c’è un altro aspetto importante”. “Con la sua decisione, Macron ha lanciato Attal nel gruppo dei presidenziabili. Quando si è nominati primo ministro si diventa in maniera assai naturale dei candidati alla presidenza, anche se tra Matignon e l’Eliseo il percorso è ovviamente tortuoso. Con Attal, il capo dello stato perturba la scontro tra i pretendenti alla sua successione, ossia Edouard Philippe, Bruno Le Maire e Gérald Darmanin”.
Stiamo assistendo a “un’evoluzione naturale” della macronia in cui il salto generazionale è anti sistema
I fedelissimi. Accanto al rimpasto di governo, “c’è il rimpasto interno all’Eliseo, che è altrettanto importante”, sottolinea Bourmaud. “L’obiettivo di Macron è quello di riprendere il controllo del secondo quinquennio, ritrovare il filo della narrazione macronista, dandogli nuova linfa, dopo un primo anno e mezzo tutt’altro che semplice”, aggiunge. E’ soprattutto tra i consiglieri per la comunicazione che Macron ha deciso di far tornare alcune vecchie conoscenze che conoscono gli ingranaggi dell’Eliseo. Come Jonathan Guemas, soprannominato “Jo” dal presidente francese, che lo ha rivoluto al suo fianco. Lo speechwriter di Macron dal 2018 al 2022 e che fino a poche settimane fa era ancora un dipendente di Publicis, si è insediato nel posto strategico di consigliere speciale per la comunicazione del presidente della Repubblica. Con una missione ambiziosa, stimolante per un 35 enne, ma certamente complessa: proteggere l’inquilino dell’Eliseo e ridare coerenza e profondità alla narrazione macronista, dopo i tentennamenti degli inizi del secondo quinquennio. “Jonathan Guemas era un consigliere di Emmanuel Macron, che non ha esercitato funzioni politiche. Il presidente apprezza la sua capacità di analisi, la sua comprensione della società, la sua ‘plume’. C’è la volontà, da parte di Macron, di riavvicinarsi ai più competenti tra coloro che hanno lavorato per lui, di riportarli nel cuore del potere decisionale”, dice Bourmaud.
I migliori nemici. Renaissance non ha ancora scelto il suo capolista per le elezioni europee, mentre il Rassemblement national sì: è Jordan Bardella, 28 anni, che era già capolista nel 2019, quando i lepenisti arrivarono di un soffio davanti al partito macroniano. I sondaggi in vista del voto del 9 giugno sono molto più punitivi oggi per Renaissance: secondo Europe Elects, il Rassemblement national è dato al 27 per cento, i macroniani al 19, i socialisti al 10 e i gollisti Républicains al 9. Si è per un po’ parlato di un’eventuale candidatura di Attal come capolista alle europee, ma sembra che lui fosse del tutto contrario, ambiva forse già al posto di premier. “Non sarà l’avversario diretto di Bardella – ci dice Bourmaud – ma guiderà comunque la battaglia per le europee. In un certo senso, hanno trovato un capolista per procura”. Con tutta probabilità il capolista di Renaissance sarà Stéphane Séjourné, che è il presidente del gruppo Renew al Parlamento europeo (e che è sposato, pacsé dicono i francesi, con Attal: sembra che non stiano più insieme, ma nessuno dei due ha mai smentito né confermato il pettegolezzo) e che ha già dichiarato più volte di voler “guidare la battaglia delle europee”. Ma c’è già il duello, almeno ideale, tra il giovane premier e il più giovane leader del Rassemblement, l’erede di Marine Le Pen. Libération ha messo i due a confronto: “Da una parte il macronista di estrazione borghese, con il padre produttore cinematografico, École alsacienne, Sciences Po, incarico ministeriale a 23 anni. Dall’altra, il lepenista, figlio di immigrati italiani con un nome americano, cresciuto a Seine-Saint-Denis da una madre che si occupava di scuole materne che non ha finito la sua laurea in geografia. E poco importa se suo padre è un dirigente d’azienda e risiede in un comune chic della Val d’Oise, se Bardella ha studiato nelle scuole private e vive tranquillamente con la politica da quando aveva vent’anni”. Sono due “migliori nemici” che si erano già incontrati e scontrati perché l’occasione è ghiotta per mostrare cosa vuol dire cambiamento e perché sono riusciti a mantenere un rapporto cortese, cosa piuttosto rara in Francia e un po’ dappertutto. Bardella ha commentato la nomina di Attal dicendo che Macron “vuole attenuare il dolore di una fine del regno interminabile”, ma rischia di “portare giù con sé anche l’effimero ministro dell’Istruzione”. La Le Pen è stata più dura con il “balletto puerile delle ambizioni e degli ego” e ha annunciato che “il cammino verso l’alternanza inizia il 9 giugno”. Qualcuno vede nelle elezioni europee, ora che lo scontro Attal vs Bardella ha questi contorni, quasi un giro di riscaldamento in vista della corsa delle presidenziali del 2027: chissà cosa ne pensa Marine Le Pen.
Renaissance non ha ancora un capolista, il Rassemblement national sì, ed è lo stesso che vinse (di un soffio) nel 2019
Il terzo incomodo. Raphaël Glucksmann, leader del piccolo partito Place Publique che con i suoi 44 anni ora sembra vetusto, conta di essere designato come capolista della sinistra francese alle europee. I negoziati sono ancora in corso, ma Glucksmann ha detto di voler chiudere le trattative entro l’inizio di febbraio in modo da costruire una campagna che possa dare un seguito ai barlumi di vita che vengono dai sondaggi. Glucksmann spera di togliere voti ai macroniani prendendo gli elettori che sono delusi dal Macron “troppo di destra” (in particolare sull’immigrazione) che certo non saranno rassicurati dall’arrivo di Attal, anche se il suo obiettivo principale è sconfiggere “le soluzioni illusorie e pericolose” di Bardella e di “questa paccottiglia di patrioti che sono stati al servizio della dittatura di Vladimir Putin”. Bisogna mostrare che l’Europa “non fa rima né con debolezza né con impotenza”, ha detto Glucksmann, che teme il ritorno di Donald Trump in America e l’implosione delle democrazie non soltanto per l’aggressività dei regimi esterni, ma anche per le minacce interne.
In questo senso Glucksmann sembra simile a Macron, che dal 2016 avvolge il suo pensiero nella bandiera europea e lo suona sulle note dell’Inno alla gioia. Ma per molte altre cose il presidente francese ha delineato un’idea della Francia e dell’Europa diversa, a tratti conflittuale. Per lui la scommessa su Attal ha molti significati: è un giovane più giovane di lui, è un possibile delfino, è un motore per rilanciare il suo mandato e proiettarlo oltre il 2027. Dev’essere per questo che, anche in questi giorni, come già in passato, si è mostrato con i guantoni da boxe: si procede a pugni, se serve.