I numeri choc degli scienziati americani, riguardo agli interventi chirurgici GAS (Gender Affirmation Surgery), rilevano che “l’isteria transgender è molto maggiore nel 2023”. Bisogna riportare l’essere donna e il poter essere madre al centro della civiltà umana
Il “breast ironing”, stiratura del seno, è una pratica orripilante ancora in uso in alcune regioni dell’Africa, per esempio in Camerun. Donne adulte della famiglia che si attrezzano con strumenti arroventati – vecchi ferri da stiro, spatole, sassi, conchiglie – per distruggere le mammelle delle bambine. Serve a ridurne l’appeal sessuale per sottrarle a stupri e gravidanze precoci e salvare l’onore del gruppo. In alcune regioni, come nella zona di Douala, tocca a più della metà delle ragazze, ma se sei fortunata si accontenteranno di una fasciatura stretta (binding).
In occidente il “binding” è il passo prima della “top surgery”, rimozione chirurgica dei seni: l’associazione trans Mermaids ha distribuito binder gratis in quantità (eventualmente corredabili con peni di gomma per simulare il rigonfiamento dei genitali maschili). Qui non c’entra l’onore, in ballo c’è altro.
Digitate “top surgery” ed ecco centinaia di ragazzine a torso nudo, capelli rasati, sorriso trionfante e la tipica doppia cicatrice, capezzoli ricuciti o tatuati sul nuovo torace piatto come una tavola. Vedrete anche medici che esibiscono barattoli di sanissimo tessuto mammario in formaldeide: un chirurgo di Miami si vanta di tagliare 40 paia di seni a settimana o più precisamente di “cancellare le tette”.
L’attore Elliot Page, già Ellen, è la regina delle senza-tette, il torso perfezionato da una notevole “tartaruga” probabilmente in silicone. Castori, fatine e altre creature magiche con il doppio taglio saltellano in cartoon e fumetti inclusivi destinati alla prima infanzia. La maggior parte delle “top surgery” viene praticata negli Stati Uniti, dove la rimozione del seno è un giro d’affari cospicuo e gli ospedali pediatrici eseguono mastectomie anche a 13 anni. Non è necessaria un’età minima, spiega la pediatra losangelina Johanna Olson-Kennedy, perché se una paziente si pentisse potrà sempre “procurarsi il seno più tardi”.
Secondo un recente studio pubblicato dal “Journal of the American Medical Association” sono 48.019 gli americani, minori compresi, che tra il 2016 e il 2019 si sono sottoposti a interventi chirurgici di “affermazione del genere” (GAS, Gender Affirmation Surgery). In sei casi su dieci si tratta di “top surgery” (56,6 per cento, soprattutto tra le più giovani: il 7,7 per cento degli operati, o meglio operate, ha tra i 12 e i 18 anni, e la doppia mastectomia guida la classifica in questa classe di età). Seguono ricostruzione genitale (35,1 per cento) e procedure facciali e cosmetiche (13,9 per cento). I GAS sui genitali riguardano primariamente pazienti adulti, ma l’11 per cento di questi interventi definitivi è stato eseguito su ragazze/i tra i 12 e i 18 anni, quindi anche su minori. La gran parte delle legislazioni nazionali non chiede più l’intervento chirurgico “maggiore” per riconoscere l’identità di genere e la pratica è un po’ in declino. I maschi si tengono i loro gioielli e le trans FtM (nate donne) conservano utero e ovaie anche per non privarsi della possibilità di fare figli, nominandosi “padri” al momento del parto: dirsi madri scombinerebbe i loro piani e le riporterebbe a quella “casa in fiamme” – il destino materno – dalla quale sono precipitosamente fuggite.
Un altro studio della Vanderbilt University rileva che soltanto nel 2019 489 ragazzine americane tra 12 e 17 anni – età media 16 – sono state sottoposte a top surgery. “L’isteria transgender è molto maggiore nel 2023” osserva The National Review commentando la notizia, “il che significa che probabilmente il numero dei minori che finiscono sotto i ferri è ben più alto. Un numero spaventoso di bambini viene sottoposto a transizione chirurgica (…) quando gli studi mostrano che la confusione di genere nei bambini e negli adolescenti è spesso transitoria e la detransizione è in crescita”. Eppure, conclude “The National Review”, anziché “frenare gli interventi chirurgici transgender e il blocco della pubertà nei minori come sta facendo gran parte dell’Europa occidentale, gli autori dello studio vogliono più medici che eseguano queste procedure, e questo in un momento in cui in generale in tutto il paese vi è carenza di medici”. Secondo la società di ricerche Global Market Insights il settore della chirurgia di riassegnazione del sesso ha fruttato 623 milioni di dollari nel 2022 e data “la crescente prevalenza della disforia di genere” la prospettiva è di raggiungere i 2 miliardi di dollari nel 2032. Questo solo per la chirurgia, poi c’è l’indotto: interventi estetici, farmaci a vita, assicurazioni e via dicendo. Global Market Insights conta con fiducia sull’“introduzione di nuove politiche governative” e fa l’esempio della legge trans in Spagna, modello per la legge-fotocopia recentemente approvata in Germania. Il business non è tutto ma difficilmente il mercato mente, intercettando desideri correnti per farne prodotti da scaffale. Di che desiderio si tratta, qui?
In un articolo sul “Guardian” la senza-tette D’Lane Compton dice che “il peso che mi è stato rimosso con la top surgery va ben oltre le 4 libbre e mezzo dei miei seni”. E che sul lavoro “è come se avessi un nuovo superpotere: la prima volta che dico di no vengo ascoltato. Raramente devo chiedere qualcosa due volte. Il linguaggio nelle e-mail che mi arrivano è più deferente di prima. Da quando ho effettuato una transizione visibile c’è meno lotta. Le mie interazioni non sono più così difficili. Le cose sono diventate più facili al lavoro. Sto guadagnando di più. Mi chiedo: è questo il privilegio maschile?”. “Non avevo così chiaro di voler essere un ragazzo” testimonia una detransitioner, “so solo che non volevo essere una ragazza”.
Sappiamo tutte cos’è: ti spuntano le tette e all’improvviso eccoti infilata a forza nella genealogia delle madri, una tumultuosa transizione che non governi. L’illusione di partecipare al “male privilege” che si dilegua insieme al tuo corpo infantile. Cerchi disperatamente di tornare indietro, o almeno di andare avanti in un altro modo. Lo dice bene Judith Halberstam (Female Masculinity): “Nell’adolescenza femminile si manifesta la crisi di dover crescere come una ragazza in una società dominata dai maschi”. Si deve essere donne per capire.
Noi, le boomer e dintorni, ci siamo arrangiate con la parità, l’emancipazione, l’androginizzazione simbolica: una specie di disforia politica. La straziante felicità delle soldatine senza-tette è l’ultima figura della fenomenologia auto-misogina. Qui la lealtà al maschile arriva a perfezione. Amano le donne ma non provare a chiamarle lesbiche: sono maschi etero, lesbica gli fa schifo. Tante di loro sono state anoressiche prima degli ormoni e della chirurgia, la doppia cicatrice se la sono conquistata sul campo di battaglia dove il corpo femminile-materno ha avuto la peggio. Lo stesso campo di battaglia di molte delle peripezie transumane: utero in affitto, PMA, gravidanze extracorporee, creazione di pseudo-ovociti da cellule staminali. Un aggiornamento continuo delle tecniche di espulsione-abiezione e dominio del corpo della madre.
I genitori disperati cercano di prendere tempo e invocano terapie psicologiche, ma probabilmente la strada per la salvezza è tutta politica. E’ riportare l’essere donna – e quindi il poter essere madre – al centro della civiltà umana, dove era destinato a stare se le cose non fossero andate storte. E’ la gratitudine per chi ti ha messo al mondo. E’ “il modello materno della buona autorità” (Marcel Gauchet). E’ scoprire, accettare e affermare “l’indicibile fortuna di nascere donna” (Luisa Muraro), quel female privilege con cui significativamente polemizza il fronte queer. E’ questo che serve al mondo, non solo alle ragazze. Tocca dirlo, e ridirlo, e ridirlo.