La strada in salita degli investimenti per l’idrogeno in Italia

Tra fondi da assegnare e un mercato ancora embrionale, i progetti del Pnrr procedono a rilento. La Lombardia si muove con nuovi distributori ma sulle nostre strade si contano appena 60 automobili con questa tecnologia. Numeri e qualche riflessione

Qualche giorno fa a Carugate è stata inaugurata la prima di cinque stazioni di rifornimento a idrogeno che entro l’anno dovrebbero essere terminate per essere operative a partire dal 2026. L’intero progetto prevede un investimento complessivo di 55,4 milioni di euro, finanziato da fondi nazionali ed europei stanziati dal Pnrr. Lo scorso anno, sempre la regione Lombardia aveva già acquistato 14 treni alimentati a idrogeno, pronti a entrare in servizio entro il primo semestre del 2026. La regione saluta l’inaugurazione dell’impianto come “una tappa fondamentale nel percorso verso una mobilità più innovativa”. E lo è, anche se all’ottimismo lombardo si contrappone la fiacchezza dell’intero paese, in cui l’idrogeno fatica ancora tantissimo sia a livello commerciale che sugli investimenti strutturali.

Usare l’idrogeno come vettore energetico comporta la produzione di solo vapore acqueo come scarto e nessuna emissione inquinante. Per produrlo occorre spezzettare l’acqua nelle sue due componenti e isolare quello che a noi serve, l’idrogeno per l’appunto: un processo semplice tanto quanto costoso, che richiede inoltre tantissima energia (in ottica di decarbonizzazione: meglio se generata a sua volta da fonti rinnovabili). A sostegno di ciò, il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha messo sul piatto 2,87 miliardi di euro, ma la spesa non decolla.

Stando ai dati di Openpolis e Assonime, raccolti nel rapporto Pnrr Watch, dei circa 590 milioni di euro destinati alla produzione di idrogeno in aree industriali dismesse ne sono stati spesi appena 27: meno del 6 per cento del totale. Non va meglio la sperimentazione dell’idrogeno per il trasporto stradale, milestone a cui il Pnrr dedica 230 milioni di euro. L’obiettivo è sviluppare almeno 40 stazioni di rifornimento, ma la procedura di assegnazione dei bandi è stata alquanto travagliata. Sin da subito si è registrato uno scarsissimo interesse, che ha reso necessari un secondo avviso e due ulteriori proroghe. Una volta concluso l’iter – con svariati mesi di ritardo sul timing iniziale – sono arrivate ben 18 rinunce al finanziamento per altrettanti progetti, costringendo il ministero a valutare una riformulazione (al ribasso) del target finale dell’intervento. Alla base delle poche adesioni, osservano dal report, ci sarebbero “debolezze gestionali e scarsa promozione” del bando, diffuso solamente dal sito del Mit e senza ulteriori forme di pubblicità, unite a “tempistiche accelerate per tener fede a obiettivi rivelatisi assai sfidanti”. Il risultato? Solo 7 progetti su 44 risultano già nella fase di esecuzione, e il 46 per cento dei fondi è ancora da assegnare. Insomma, un amalgama di ritardi, rimodulazioni e soldi ancora nel cassetto. Il tutto a poco più di un anno dalla scadenza ufficiale prevista per l’agosto del 2026, su cui “non si può dare alcuna deroga”, ha assicurato sabato il vicepresidente della Commissione Ue Raffaele Fitto, a margine del Forum in Masseria.

Per quanto riguarda il trasporto ferroviario, i progetti di sperimentazione dell’idrogeno risultano tutti in esecuzione (e uno in fase di collaudo). Tuttavia, nonostante il Piano abbia stanziato 300 milioni di euro, al 31 marzo 2025 risultano effettuati pagamenti solo per 2 progetti su 11. Il disallineamento potrebbe essere dovuto a un mancato aggiornamento dei dati, anche se – si osserva nel rapporto guardando al futuro – gli aumenti dei costi legati all’inflazione e alla conseguente difficoltà nel reperire materie prime rischiano di compromettere la buona riuscita degli investimenti.

Alle difficoltà sugli investimenti si accompagnano quelle commerciali. “Nel nostro paese, a giugno 2025, si contano in totale 60 automobili a idrogeno con targa italiana”, dice al Foglio Antonio Sileo, direttore del programma di ricerca Sustainable Mobility della Fondazione Eni Enrico Mattei (Feem): “Erano 58 a fine 2023, una è stata immatricolata nel 2024, mentre una a maggio di quest’anno, poco prima di inaugurazione distributore lombardo”. La quasi totale mancanza di stazioni di rifornimento spaventa i consumatori, anche se per i mezzi pesanti il discorso potrebbe essere diverso: “Pochi distributori sarebbero già sufficienti per camion, tir e pullman a lunga percorrenza. Dato che si muovono su percorsi abbastanza obbligati, quasi come dei treni – spiega – l’importante è che possano percorrere 600-800 km di fila sapendo che in un punto specifico possono fare rifornimento”. Al 2023 risultavano in esercizio 17 autobus a idrogeno nel servizio urbano e suburbano di Bolzano e 4 a Venezia (che prevede di portarli a 90 nei prossimi anni), mentre in Valle Camonica si punta ad averne 40 al 2026, così come in diverse altre città.

Attualmente il mercato è embrionale, ma “all’aumentare dei distributori, anche se pochi, si potrebbe comunque sviluppare una mobilità (pesante e minor parte leggera) a idrogeno” osserva Sileo: “Per quanto possa sembrare paradossale, poche stazioni di rifornimento sono comunque meglio di niente”. Bene dunque le aspirazioni lombarde a creare una rete per la mobilità stradale a idrogeno, ma per non trasformare la stazione di Carugate in una cattedrale nel deserto servirà molto altro.

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