Personale dimezzato, riunioni cancellate e crisi gestite direttamente dal presidente. Con Marco Rubio al doppio timone di diplomazia e sicurezza nazionale, il nuovo assetto delle decisioni esclude i funzionari chiave e confonde gli alleati
Il Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti nella seconda Amministrazione Trump praticamente non esiste più. Dopo la rimozione il 1° maggio scorso di Mike Waltz dal posto di consigliere per la sicurezza nazionale (travolto dalla crisi delle chat sui bombardamenti in Yemen su Signal ma, secondo i media americani, anche da un coordinamento troppo attivo con Israele) Trump ha consegnato l’interim al segretario di stato Marco Rubio, ex neocon oggi fedelissimo trumpiano le cui opinioni personali e politiche sono pressoché scomparse, come le riunioni del Consiglio.
A Washington, e non solo a Washington, la questione è considerata particolarmente delicata, perché se è vero che sin dalla sua formazione nel 1947 a opera di Harry S. Truman il National Security Council (si abbrevia Nsc) è cambiato più volte, si è trasformato e adattato alla contemporaneità (l’ex presidente Joe Biden nominò il suo rappresentante speciale per il Clima, John Kerry, membro del Consiglio), il ruolo dell’istituzione è sempre stato quello di consigliare direttamente il presidente in carica su questioni di sicurezza nazionale e di sicurezza economica, attraverso un dialogo costante fra agenzie e dialoghi a livello operativo. Se si prova ad aprire oggi il link al sito internet ufficiale del Consiglio di sicurezza nazionale, il messaggio che appare è: “404 / Page Not Found”. In un lungo articolo su Politico, la giornalista Nahal Toosi ha scritto che anche durante le precedenti amministrazioni americane la burocrazia dell’Nsc è stata spesso criticata: durante i quattro anni di Biden all’istituzione lavoravano molte persone “ed esercitava così tanto potere, soprattutto sulle questioni mediorientali, da mandare su tutte le furie il dipartimento di stato”. In sostanza il dubbio che a volte il Consiglio diventasse “troppo grande e troppo potente” c’era, ma per la seconda Amministrazione Trump il problema era soprattutto che potesse diventare “troppo invadente”, come i suoi consiglieri per la Sicurezza nazionale – nel suo primo mandato Trump ne ha cambiati addirittura sei.
Da quando Rubio ha preso il posto di Waltz il primo maggio scorso, ha ridotto al minimo il personale, ma anche le riunioni, e non solo quelle del Consiglio principale, formato dai segretari dell’Amministrazione e da altri funzionari responsabili. Sono stati ridotti pure i dialoghi dei Policy coordination committees, piattaforme composte da funzionari del Consiglio per la sicurezza nazionale e dai sottosegretari dell’esecutivo. Sono riunioni di più basso livello ma considerate influenti, perché servono a coordinare le politiche tra le varie agenzie e a segnalare crisi o movimenti diplomatici. Secondo Politico, con Rubio al comando questi tipi di riunioni possono svolgersi solo se è presente il consigliere per la sicurezza nazionale o un suo vice, che hanno una funzione deterrente, perché si possono svolgere solo se “il tema in discussione è considerato una priorità del presidente”. Il problema è che quei comitati “sono stati finora il luogo dove discutere temi complessi che spesso non rientrano nel radar presidenziale”, scrive Toosi, riunioni che “possono servire a evitare che piccole crisi diventino gravi, richiedendo attenzione a livelli più alti. Sono anche occasioni per far emergere proposte provenienti dai ranghi più bassi, prima che arrivino ai vertici”, e sono anche strumenti diplomatici, perché portano all’attenzione della Casa Bianca problemi che magari non sono ogni giorno sulla scrivania dello Studio ovale, e che però, sul lungo periodo, potrebbero avere conseguenze gravi.
Ma il problema riguarda soprattutto le decisioni strategiche che prende Donald Trump, e solo lui, in quanto comandante in capo. Le riunioni ad alto livello che hanno sostituito quelle del Consiglio di sicurezza nazionale oggi si svolgono nello Studio ovale con un ristrettissimo numero di persone, a volte ci sono soltanto Trump, Rubio e Susie Wiles, la capa di gabinetto di Trump. Anche durante le conversazioni con i leader stranieri – per esempio l’ultima telefonata con Vladimir Putin di un mese fa – i funzionari del Consiglio per la sicurezza nazionale non sono presenti, e quindi “spesso non sanno se Trump ha fatto una promessa o un ultimatum fino a quando è troppo tardi per sollevare obiezioni”, scrive Politico.
C’è poi un problema di coordinamento che confonde sistematicamente i funzionari del governo federale americano ma anche gli alleati stranieri. Quando l’11 giugno scorso il Financial Times ha scritto che il Pentagono stava iniziando una revisione del patto di sicurezza trilaterale tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti, basato sulla condivisione della tecnologia per i sottomarini a propulsione nucleare, molti dentro all’Amministrazione Trump non ne sapevano nulla, e anche oggi non hanno ricevuto informazioni specifiche. Allo stesso modo, la politica dei dazi di Trump è complicata da gestire, soprattutto se agli stessi alleati viene richiesto di spendere di più nella Difesa. Il modo in cui Rubio sta affrontando il doppio ruolo di capo della diplomazia e del Consiglio per la sicurezza nazionale è un’emanazione diretta del metodo Trump, e non la sua opposizione interna.