Danny Boyle: “28 Anni Dopo è un film sugli zombie, ma anche sulla Brexit e sul Covid”

Sono passati più di vent’anni dall’arrivo nelle sale del cult che ha rivoluzionato il genere dello zombie-movie “28 giorni dopo”. E, da allora, di cose simili a quelle del film se ne sono concretizzate un bel po’: una pandemia su scala globale, ad esempio. L’anestetizzazione sociale che ha “zombificato” sempre di più l’umanità con una vera e propria schiavitù digitale, tra smartphone e social. O, ancora, un paese intero (il Regno Unito) che si è staccato formalmente, economicamente e anche un po’ socialmente dal resto della terraferma con la Brexit.

Ora, quindi, dovrebbero essere più che chiari i motivi che hanno spinto il regista britannico Danny Boyle, premio Oscar per The Millionaire, a tornare in prima persona dietro la macchina da presa per riflettere nuovamente sull’apocalisse con “28 anni dopo”, terzo capitolo della saga iniziata nel 2002 in uscita nelle sale italiane il 18 giugno di quest’anno.

“Quello che ho immaginato 23 anni fa, in realtà, non è nulla rispetto alla realtà che c’è lì fuori ora” dice Boyle. E qui il regista torna infatti, accompagnato alla scrittura da Alex Garland come nel primo capitolo, a riflettere su un’Inghilterra post-umana che non somiglia a un futuro distopico, ma a un presente appena esasperato: tra la gestione autoritaria della crisi e la deumanizzazione, con un accenno anche alla divisione in classi, all’intelligenza artificiale e al digital divide. Perché “Il mondo si sta anestetizzando all’orrore”, ci dice Boyle. “Ma se qualcuno non ha una mente, non vuol dire che non abbia un’anima”

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.