Teheran adesso è nuda davanti ai piani di Israele

Secondo Tsahal, i jet israeliani hanno la “piena libertà operativa” nello spazio aereo della capitale iraniana. Le possibilità di Khamenei, che minaccia, ordina la risposta e guarda cosa resta della sua eredità

Secondo l’esercito israeliano, Teheran è nuda. La capitale della Repubblica islamica dell’Iran è rimasta senza difese aeree, il portavoce dell’esercito israeliano ha annunciato che “decine di caccia israeliani hanno sorvolato Teheran per oltre due ore attaccando decine di obiettivi”, ottenendo la piena libertà operativa nello spazio aereo. La campagna israeliana sui cieli iraniani è andata avanti, Tsahal è riuscito a eliminare sei scienziati, tutti con legami con il programma nucleare iraniano. Fisici, ingegneri, chimici. E’ riuscito a rallentare la catena di comando delle Forze armate dell’Iran, con omicidi mirati e colpendo duramente le strutture che avrebbero potuto garantire una risposta rapida all’attacco israeliano. Axios ha messo in fila gli eventi, il primo errore degli alti comandanti è stato quello di non trovare alloggi sicuri, ma rimanere nelle loro case o ritrovarsi tutti in un unico bunker per coordinare la risposta. Israele conosceva sia gli indirizzi delle case di molti dei comandanti e conosceva anche l’ubicazione del bunker in cui i comandanti dell’aeronautica militare del Corpo delle Guardie della Rivoluzione islamica si sarebbero riuniti. Con un solo colpo, nel momento iniziale dell’attacco, Tsahal ha ucciso il generale Amir Ali Hajizadeh, comandante dell’unità aerospaziale che aveva coordinato i passati attacchi dell’Iran contro Israele, e i responsabili delle forze di difesa aerea e dei droni. Il regime di Teheran, la notte tra giovedì e venerdì, è rimasto senza gli uomini in grado di coordinare una risposta. Non è stata soltanto questione di capitale umano, oltre a colpire i militari, Israele ha pensato a disattivare parte dei sistemi di difesa aerea e dei radar. I servizi segreti avevano fornito all’esercito una mappa, a ogni punto sulla mappa corrispondeva un sistema di difesa da eliminare mentre a terra, gli agenti del Mossad procedevano a sabotare altri sistemi di contraerea e lanciatori di missili balistici. Lo hanno fatto con sistemi di lancio mobili montati su automobili civili e una base per droni in cui l’intelligence montava le armi da usare per l’attacco che avrebbe aperto i cieli ai jet di Tsahal. In un secondo momento, dopo essersi assicurati di aver ritardato la capacità dell’Iran dei rispondere all’attacco, messo fuori uso i sistemi di contraerea, sono iniziati i bombardamenti agli impianti nucleari.

L’esercito israeliano aveva calcolato che Teheran avrebbe potuto usare in ritrosione centinaia di missili, invece, eliminando gli uomini preposti a rispondere e neutralizzando armi e postazioni di lancio, Israele ha ritardato la prima risposta dell’Iran, che è arrivata venerdì sera in due ondate, per un totale di poco più di cento missili che sono riusciti a penetrare lo spazio aereo israeliano e a ucciere tre persone. Oggi, dopo che Israele ha continuato a operare nei cieli iraniani, guadagnando la totale libertà di movimento sopra alla capitale, la risposta iraniana è attesa in serata.

L’attacco coordinato di Israele ha lasciato il regime di Teheran senza troppe opzioni. La Guida Suprema Ali Khamenei ha ordinato una forte vendetta con duemila missili e gli attacchi contro il territorio israeliano potrebbero essere soltanto una parte della vendetta. Gli Stati Uniti hanno detto agli iraniani che esiste una via breve per uscire da questa guerra: negoziare seriamente un accordo sul nucleare, senza giochi né scherzi, senza la tattica di rubare tempo facendosi vedere affaccendati senza arrivare mai al punto. Il regime ha rifiutato, sulla moschea di Jamkaran sventola ancora la bandiera della vendetta, il drappo rosso con la scritta che inneggia alla vendetta per l’uccisione del nipote di Maometto, Hussein.

L’eredità di Khamenei e del suo “asse della resistenza distrutto”

E’ questione di tempo, Khamenei dovrà decidere cosa fare. Davanti a sé ha un paese in guerra, la prima da quando è lui la Guida suprema. Khamenei è arrivato al potere nel 1989, dopo otto anni di guerra tra Iran e l’Iraq. Ha promesso l’espansionismo del potere iraniano e di tenere le guerre al di fuori dei confini nazionali. Nella sua lunga carriera è quasi riuscito a mantenere la sua promessa, l’Iran è stato vittima di attentati, soprattutto da parte dello Stato islamico, ma meno colpito rispetto ai paesi confinanti. Il potere iraniano in medio oriente l’ha effettivamente espanso, creando il sedicente asse della resistenza, l’insieme di forze a lui alleate pronte a circondare e stritolare Israele. Ma dal 7 ottobre i componenti di quell’asse sono stati decimati o neutralizzati. Hezbollah in Libano ha perso gli uomini più preziosi, le armi e la capacità stesse di intervenire ora in sostegno dell’Iran contro Israele. Gli houthi in Yemen rimangono il gruppo più in salute, ma la loro forza è inferiore a quella di Hezbollah. Hamas nella Striscia di Gaza era l’ultimo arrivato, ha scatenato l’inizio di tutto, ma dopo oltre seicento giorni di guerra e la perdita di varie figure importanti e del suo leader più forte che aveva accentrato su di sé potere militare e politico, Yahya Sinwar, è un gruppo che lotta per la sua sopravvivenza. Le milizie filoiraniane in Iraq possono creare problemi alle basi americane, ma non sono sufficientemente armate per aiutare Teheran. In Siria invece la Repubblica islamica ha perso tutto il suo potere con la cacciate del dittatore Bashar el Assad, ora rintanato a Mosca, e l’arrivo di Ahmad al Sharaa, che ha conquistato il paese in otto giorni, alleato dei sauditi e non dell’Iran. La lotta di Khamenei è per la propria sopravvivenza. L’eredità è distrutta, per valutare gli effetti della guerra sul regime ci vorrà tempo.

Di più su questi argomenti:

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull’Unione europea, scritto su carta e “a voce”. E’ autrice del podcast “Diventare Zelensky”. In libreria con “La cortina di vetro” (Mondadori)

Leave a comment

Your email address will not be published.