Dopo il successo de “La tana del granchio” a Sanremo, il cantautore genovese pubblica il suo terzo album. “Ho trasformato il successo in una sfida a non perdere la personalità. Il mio mantra? Una scritta di mia madre sul bancone del bar in cui lavoravo”
“Per i sognatori, per chi cerca speranza. Creato per restare a galla tra la marea dell’umore, quasi un’autoterapia. Pensavo sempre al partire o al tornare ma non pensavo mai ai benefici del viaggio. Poi ho capito che non c’è una scelta netta ma l’accettazione della complessività della vita e delle sue molteplici possibilità”. Con queste parole Bresh racconta il suo nuovo album “Mediterraneo”, uscito lo scorso 6 giugno e composto da 16 brani. Un inno alla resilienza e alla ricerca di un equilibrio in un mondo che, oggi più che mai, “sembra voler disorientare”. L’artista genovese, reduce dal successo di Sanremo con “La tana del granchio” e dal successivo singolo “Umore marea”, porta l’ascoltatore in un viaggio intimo e profondo, dove “la musica diventa un porto sicuro”.
Il nome dell’album non è casuale, “deriva dal fatto di come si possa stare bene in una terra bagnata dal Mediterraneo, con tutte le difficoltà che vediamo al giorno d’oggi”. Ma il Mediterraneo di Bresh non è solo un luogo fisico ma è anche “un approdo per l’anima”. Infatti Bresh confessa: “Quando la marea interiore si abbassa non bisogna farsi affossare. La mia è hope music, trasformo in poesia la solitudine. E sono riuscito a poetizzare anche i momenti down, questa è una parte del viaggio che ho intrapreso”. L’obiettivo del cantante ligure è chiaro: “Infondere speranza, far svegliare ragazzi al mattino e migliorare loro la giornata”. Un mantra, quello della speranza, ereditato dalla madre: “Lei nel 2017 fece scrivere una frase sul bancone del bar in cui lavoravo, ‘Meglio essere positivi e avere torto che negativi e avere ragione’”.
Dopo il successo del suo secondo album, “Oro Blu” (2002), Bresh ha vissuto un periodo di cambiamento. “Avevo paura di trasformarmi, avevo più soldi, ho cambiato casa e macchina. Avevo smesso di abitare con i miei amici, ero cresciuto. Non volevo che il fiammifero dell’ispirazione si spegnesse”. Questa vulnerabilità si è tradotta in una sfida costante al “non depersonalizzarsi”, un impegno che Bresh ha intrapreso fin dall’inizio del progetto “Mediterraneo”. Quattro i suoi compagni di viaggio: Tedua, Achille Lauro, Sayf e Kid Yugi. “Ho evitato di riempire l’album di featuring perché volevo avesse un’identità: volevo solo loro perché sono veri e propri numeri 10, capaci di arricchire il progetto senza snaturarlo”.
E se da una parte l’album parla di provocazioni che “dividono il sesso dall’amore” come in “Erica”, dall’altra esplora anche il misticismo. “In ‘Altezza cielo’ c’è un’entità che ci guarda sbagliare e non dà spiegazioni”. Ma il “mare rimane l’elemento essenziale” e con esso la sua Genova, “un punto fermo e un’influenza costante nelle mie canzoni”. La città ligure “rappresenta il concetto di lavorare a testa bassa. Mi piace pensare di essere simile a lei in questo”. Per questo, dice, “ho voluto omaggiarla con un brano in dialetto genovese, ‘Aia che tia’”. E proprio il suo vernacolo locale, portato anche a febbraio nella serata dei duetti all’Ariston in coppia con Cristiano De Andrè (“Creuza de mä”), testimonia la sua voglia di voler mantenere una matrice di autenticità: “Cose originali possono creare buone vibrazioni”. Proprio durante la settimana del Festival, tra le strade di Sanremo, Bresh ammette di aver ampliato la sua fanbase a un pubblico composto da “zie e nonne” ma lo definisce “fatuo”, distinguendolo invece dal suo “zoccolo duro” che sarà presente nel suo primo tour nelle arene in partenza il 25 ottobre da Jesolo. Passerà poi al Palazzo dello Sport di Roma, al Forum di Milano per due date sold out e infine all’Unipol Arena di Bologna. E si scusa per l’annullamento delle date estive: “Una scelta dettata dalla necessità di preparare al meglio questi show più grandi”.