I veti dei governi sulle banche sono contro i trattati, dice Patuelli (Abi)

Dalla preoccupazione per l’Unione bancaria al nodo del Mes, fino al messaggio implicito a Palazzo Chigi sul golden power verso l’operazione Unicredit-Bpm. Il discorso del presidente dell’Associazione bancaria italiana al Congresso nazionale delle Fondazioni bancarie di Gorizia

“Io sono muto anche con me stesso, lo sapete, sulle vicende che riguardano le scalate, tentate o realizzate, tra banche in Italia ma permettetemi di dire che ho grande preoccupazione per l’Unione bancaria che vede, per esempio, la Repubblica del Portogallo che sta impedendo l’acquisizione di una banca da parte di un’importante banca spagnola. Posso capire che ci siano delle rivalità plurisecolari, ma, attenzione, questi veti portoghesi verso la Caixa producono non solo uno stop all’unione bancaria ma sono in contraddizione con il Trattato di Maastricht”. Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, abbandona il solito tono prudente e critica, implicitamente, il protezionismo che gli stati europei stanno dimostrando nei confronti dei sistemi finanziari che contribuisce, a suo avviso, a impedire all’Unione europea di fare un salto di qualità in una fase di gravi tensioni internazionali.

Patuelli è intervenuto in chiusura del Congresso nazionale delle Fondazioni bancarie a Gorizia mentre si accavallavano le notizie dell’escalation tra Israele e Iran: “Le incertezze e i conflitti alle porte di casa ricadono sui mercati finanziari e in questo contesto le banche sono come sempre l’elemento più sensibile ed esposto ad ogni evoluzione”. Così ci sono “anche altre questioni che vanno sbloccate” come quella del Mes, il meccanismo europeo di stabilità, la cui riforma non è stata ancora ratificata dall’Italia. “Il Mes ha fondi cospicui” e va trasformato “in un organismo intergovernativo dell’Unione europea, che funzioni con le regole europee e con la trasparenza che ha la Bce, la quale riferisce al Parlamento europeo”. Tutte queste cose devono essere fatte “in modo che gli stati concordino sull’utilizzo costruttivo di queste risorse, non solo a livello emergenziale”. Patuelli ha inserito l’affondo sui veti dei governi alle banche nella descrizione di un contesto più ampio in apparenza favorevole ma che nasconde delle insidie: “La riduzione progressiva dello spread sotto i 100 punti base, che spero resti a lungo, dipende dalla credibilità dell’Italia ma anche dall’afflusso dei capital da paesi lontani. I tassi d’interesse nell’Unione europea sono la metà di quelli negli Stati Uniti e di altri paesi europei che non fanno parte dell’Unione”. Ma questo, avverte in sintesi il numero uno dell’Abi, non porta risultati alle banche. In futuro non si ripeterà il fenomeno dei margini di profitti elevati per gli istituti di credito.

“Noi non viviamo di rendita, ma delle ristrutturazioni fatte negli anni precedenti, degli aumenti di capitale, dei sacrifici, del lavoro di efficientamento continuo del settore. Per questo sulle banche servono regole uguali per tutti nell’Unione europea”. Patuelli ha evitato di riferirsi al al veto analogo a quello del governo Portoghese apposto, pur senza, ancora, ricorrere a strumenti normativi, dal cancelliere tedesco Friedrich Merz all’operazione di Unicredit su Commerzbank. Ma la sostanza del suo discorso non cambia e si può cogliere il messaggio implicito rivolto a Palazzo Chigi che su Unicredit-Bpm, cioè su un’operazione tra due banche italiane, è ricorso al golden power. E’ indubbio che la posizione dell’Abi sia che tutti questi veti, e non solo quello portoghese, producono uno stop all’Unione bancaria e si pongono in contraddizione con il Trattato fondativo dell’Unione europea (Maastricht). Patuelli ha così offerto una sponda anche all’ad di Unicredit, Andrea Orcel, che pochi giorni fa, alla conferenza di Goldman Sachs, ha affermato che fusioni e acquisizioni bancarie non funzionano se di mezzo ci si mettono politici e governi quando non esercitano un’attività di moral suasion come si è sempre fatto ma veri poteri di blocco. L’influenza della politica nel mondo bancario, comunque, può andare oltre le aggregazioni nel settore arrivando a incidere sulla struttura degli assetti azionari degli istituti. In che modo? Decidendo, per esempio, i pesi e le misure con cui istituzioni come le fondazioni possono detenere partecipazioni nelle banche.

Le fondazioni di origine bancaria sono vigilate dal Mef ed esiste un protocollo del 2015 firmato con l’Acri che da diversi mesi è oggetto di confronto perché in un certo numero di casi il tetto di queste partecipazione è stato sforato in seguito alla crescita vertiginosa dei valori di mercato delle banche. A quanto pare un vero accordo non è stato ancora raggiunto e il confronto è più animato di quanto appaia. Ed è a questo, probabilmente, che Patuelli si riferisce quando dice: “attenzione a toccare questi organismi (le fondazioni, ndr) perché la stabilità bancaria è un valore che non riguarda solo le banche e gli azionisti, ma riguarda tutti gli aspetti economico finanziari di un mondo produttivo che ha nelle banche il momento di servizio e risposta a ogni problematica”. E aggiunge come riflessione di non comprendere il tema del rischio del superamento delle soglie. Tale rischio non esiste se queste partecipazioni vanno bene, come oggi, semmai dovrebbe preoccupare il contrario. Una stoccata all’indirizzo del Mef?

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