Così la Cisl, allontanata dal Pd, trova una sponda a destra

Da un lato i punti di contatto con il governo, dall’altro la rottura dei rapporti con la Cgil e il Pd su scioperi e partecipazione. Il sindacato cattolico si sposta a destra, in parte per attrazione di Meloni e in parte per repulsione di Schlein

Che il leader di un grande sindacato finisca in politica è quasi naturale. Che un sindacalista ricopra ruoli di governo non è affatto raro. La cosa sorprendente nel caso dell’ex segretario generale della Cisl Luigi Sbarra è che avvenga con un governo di centrodestra. Non era mai successo. Finora i segretari della Cisl hanno fatto politica nel perimetro del centrosinistra (Margherita e Pd), al limite in forze cattoliche (Ppi, Democrazia europea o Udc), nessuno aveva varcato le colonne d’Ercole del centro. Com’è stato possibile?

Non si tratta solo della scelta personale di Sbarra, ma è qualcosa di più profondo che sta accadendo a destra e a sinistra. Da un lato Giorgia Meloni ha aperto la porta alla Cisl, dall’altro Elly Schlein ha spinto la Cisl dentro. Dal lato della destra è chiaro il tentativo di Fratelli d’Italia di uscire dal proprio storico e trovare nuove alleanze.

Meloni ha fatto la scelta, forse passata inosservata, di non puntare su organizzazioni storicamente più vicine alla destra come Confagricoltura o l’Ugl ma di stringere un’intesa con organizzazioni che provengono dalla tradizione democristiana, e che sono politicamente e istituzionalmente più attrezzate: la Coldiretti e la Cisl. Le due gambe, nella società e nel lavoro, su cui camminava la Dc. Ma questo non basta a spiegare perché anche la Cisl si sia avvicinata alla destra. C’è sicuramente la tendenza naturale del sindacato di via Po a “dialogare” con tutti i governi, a prescindere dal colore. Ma su questo si è innestata una rottura a sinistra, sindacale e politica, con la Cgil e il Pd.

Le frizioni con la Cgil sono iniziate con il governo Draghi quando, dopo aver ottenuto la decontribuzione, Maurizio Landini convocò con la Uil di Pierpaolo Bombardieri uno sciopero generale. La Cisl non aderì, anche perché apprezzava del governo Draghi la ripresa della concertazione sancita dalla riapertura della Sala verde. Con l’arrivo a Palazzo Chigi di Meloni, il solco si allarga: dopo aver scioperato contro il governo tecnico di Mario Draghi, Landini non può non scioperare contro il governo di destra di Giorgia Meloni. Ma la Cisl non può scioperare contro un governo che triplica il taglio del cuneo fiscale di Draghi. La Cgil decide che con Meloni sarà una legislatura di scioperi generali, di scontro e “rivolta sociale”. Uno spartito movimentista e antagonista che non è nelle corde e nella storia della Cisl.

Parallelamente alla fine dell’unità sindacale, si è logorato fino quasi a rompersi il rapporto con il partito della sinistra. Il Pd, sin dalla sua nascita, ha cercato ed è riuscito ad avere un dialogo costante sia con la Cgil sia con la Cisl: l’anima comunista e l’anima cattolica del partito. Ma con l’arrivo di Schlein c’è stato un progressivo appiattimento sulle posizioni della Cgil. Appena eletta segretaria, Schlein fu protagonista di un piccolo incidente, a suo modo emblematico: si presentò a una manifestazione unitaria di Cgil, Cisl e Uil con una maglietta della Fiom-Cgil: “Carissima Elly Schlein – disse l’allora leader della Fim-Cisl Roberto Benaglia – tutti i leader del centrosinistra si sono sempre schierati con i metalmeccanici uniti e non tra i metalmeccanici: l’autonomia del sindacato dalla politica paga sempre!”.

Un’altra frattura si è consumata recentemente, sulla legge sulla Partecipazione: una battaglia storica della Cisl, portata avanti attraverso una proposta di legge popolare, firmata da tanti esponenti del Pd. Un’iniziativa dal basso, che non piaceva a Landini, avvenuta in contemporanea con la raccolta firme e il referendum della Cgil (non condiviso dalla Cisl). Solo che il Pd, dopo aver appoggiato il referendum della Cgil, ha tolto in Parlamento il sostegno alla proposta della Cisl. La segreteria voleva addirittura votare contro: solo dopo la reazione dei “riformisti” il Pd ha scelto di astenersi. A quel punto Annamaria Furlan, senatrice e leader della Cisl prima di Sbarra, è uscita dal Pd. La beffa è stata che la dichiarazione di astensione al Senato l’ha fatta Susanna Camusso, ex leader della Cgil. Così, alla fine, la legge della Cisl è passata con i voti del centrodestra e senza quelli del Pd.

In questo contesto fa un po’ sorridere la dichiarazione di Arturo Scotto, deputato vicino alla segretaria, che ha commentato la nomina a sottosegretario di Sbarra dicendo “ora forse è più chiaro perché si schierò con forza per il no al salario minimo”. Dire che il sindacato si è venduto alla destra è poco elegante ma non è vero, almeno stando all’accusa che viene dal Pd. Perché storicamente la Cisl è sempre stata contro il salario minimo. Era anche la posizione del Pd (Scotto può chiedere conferma all’ex ministro del Lavoro Andrea Orlando), dato che contro al salario minimo era anche la Cgil.

A cambiare idea non è stata la Cisl per opportunismo, ma il Pd perché ha cambiato linea la Cgil. E ora la linea della Cisl sul salario minimo è quella del governo. Anche questo spiega come due mondi distanti si sono lentamente avvicinati: in parte per attrazione di Meloni, in parte per repulsione di Schlein.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali

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