Cisl e Coldiretti, le due “gambe di popolo” della Dc, ora puntano a destra. Spiega Paolo Pombeni
Un passo indietro: Giulio Pastore, primo segretario della Cisl e democristiano di ferro, divenne ministro per il Mezzogiorno. Da Donat-Cattin a Bertinotti, il travaso fra sindacato e politica è stato sempre fecondo. Niente scandali dunque se l’ex segretario Luigi Sbarra è entrato nel governo Meloni. Un passo in profondità, però, suggerisce di fare lo storico Paolo Pombeni, direttore del Mulino, autore di studi importanti sulla Dc e sul cattolicesimo politico italiano: “La Cisl nacque da una frattura con la Cgil che si era configurata come sindacato rivoluzionario comunista, mentre la Cisl cercò la sua identità nel sindacalismo laburista. Oggi che la Cgil torna a essere massimalista, cerca un ruolo politico nella sinistra, la Cisl – o parte della Cisl – fa un percorso diverso”.
Professor Pombeni, pur tenendoci lontani dalle vacue polemiche del giorno sul presunto “premio fedeltà” che Sbarra si sarebbe guadagnato per non aver fatto la guerra al governo sui referendum, non le sembra che in questo ingresso di un ex segretario della Cisl in un governo di destra vi sia un aspetto fortemente simbolico? In fondo la Cisl, e possiamo aggiungere nel ragionamento la Coldiretti – associazione anche essa nata e radicata nel mondo cattolico, “la gente dei campi” la benedisse Papa Giovanni – sono sempre state le due gambe di popolo della Democrazia cristiana. Classe operaia (e molto pubblico impiego: quel ceto medio che non dispiaceva nemmeno a Togliatti) e mondo agricolo, bacino di tenuta sociale, sindacale, e ovviamente di voti. Oggi, anche tenendo conto che non esiste più una identità tra compagini sociali e voto a un partito, succede che tutte e due le sigle hanno un miglior rapporto con la destra che con i colleghi del sindacato. Come si spiega? “Premesso che non ritengo che tutta la Cisl la pensi come Sbarra, ci sono senz’altro posizioni diverse, quel rapporto tra il sindacato cattolico e la Dc, il governo della Dc, diciamo, è sempre stato forte. Ma bisogna tenere presente qualche distinzione. Nella storia del sindacato si sono sviluppate, a seconda dei momenti, posizioni più combattenti e altre più intese al ruolo della negoziazione. Nella stessa Cisl ci sono state linee di tendenza diverse. Ma il vero cambiamento, per tutti, anche nei sindacati, l’ha prodotto la fine del sistema dei partiti”. In quale direzione? “Da un lato la Cisl ha provato a diventare un serbatoio del riformismo; dall’altra la Cgil ha avvertito più il problema di non perdere la sua egemonia, di farsi partito, possiamo dire”.
L’osmosi tra politica e sindacato c’è sempre stata, però. “Sì, ma con la debolezza dei partiti e la frammentazione del mondo del lavoro i sindacati si sono fatti più autoconcentrati. Come se la domanda fosse: cosa faremo da grandi? E mentre Landini oggi punta ad avere un peso sulla politica della sinistra, di imporre i suoi contenuti massimalisti, è come se la Cisl abbia imboccato la strada di essere invece una sorta di ‘centro studi’ disposto a dare indicazioni anche al governo, se le accetta”. E il governo Meloni, sembra di capire, ne ha bisogno; ha un forte bisogno di una area competente sui temi sociali e del lavoro su cui dai tempi della destra sociale ha perso terreno. Esattamente come ce l’ha su temi a parole molto cari a questo governo: l’agricoltura, la “sovranità alimentare”, da qui il buon rapporto con Coldiretti.
E’ così? “E’ vero – acconsente Pombeni – ma non è il punto essenziale. Le ideologie, anche quelle ‘nazionali’ della destra, non contano più. A livello di dinamiche sociali conta la negoziazione. Il massimalismo, anche sindacale, è più una facciata”. Qual è quindi la logica politica di questo avvicinamento, che è comunque evidente? “E’ nella logica delle cose. Il centrodestra sa di essere debole nei contenuti del lavoro. Tra l’altro: Salvini vuole la rottamazione delle cartelle per favorire i suoi elettori; Forza Italia era il partito del ‘i ristoranti sono pieni’, oggi senza una grande presa sociale; Fratelli d’Italia non ha un riferimento forte nel mondo del lavoro, e lo cerca. Per cui ha interesse a un rapporto con un sindacato che porti competenze, contenuti (non solo voti). E allo stesso tempo organizzazioni come Cisl o Coldiretti hanno interesse a infilarsi, a trovare spazi di ascolto, anche di lobby, insomma ad avere una interlocuzione sulle loro tematiche là dove il governo ha necessità di trovare sponde”. Non è dunque un cambio di casacca politica, o una svolta un po’ “democristiana” di Meloni? “Credo sia soprattutto un cambio di lungo periodo di entrambi: un sindacato che non ha interesse a una contrapposizione massimalista e una politica che al di là degli slogan si muove con logiche negoziali”.