Un signore di 94 anni incarcerato e poi riportato a casa sua, ai domiciliari. Le dimissioni del legale storico di Michele Passione, garante nazionale dei detenuti, legate all'”aria che tira”. Il conto dei suicidi del 2025 che ieri ammontava a 3 (l’anno scorso 91)
Domani riferirò di un incontro notevole avvenuto mercoledì al Gabinetto Vieusseux fiorentino, sulla proposta di legge che raccomanda ai magistrati di trascorrere un periodo in galera prima di prendere servizio. Se volete arrivare a domani già preparati, e senza il rischio di pensare che sia tutto uno scherzo, potete ascoltare la registrazione dell’incontro su Radio Radicale. Nel frattempo, metto insieme tre o quattro notizie utili a fare il punto, e a sollecitare uno stato d’animo appropriato al problema.
Era di martedì la notizia su un signore di 94 anni, giudicato autore tredici anni prima del fallimento di un’impresa editoriale, condannato per bancarotta, e messo in carcere, in quella sentina ripugnante che è Sollicciano, e solo dopo un po’ di pubblico sbigottimento e di indignazione è stato spostato nel meno brutale Solliccianino, e di qui agli arresti domiciliari. Infatti ha una casa, e dei famigliari affezionati ed esterrefatti. In galera è rimasto 6 giorni – cioè, soprattutto, 5 notti. La vera galera è notturna. E’ una storia edificante come un girotondo di carnevale: gli agenti di polizia che vanno a prelevare un signore vetusto a casa sua e lo riportano a casa sua una settimana dopo, fatto ancora più esperto della vita e del mondo. Infatti ha raccontato il suo soggiorno con altri quattro in una cella, con un unico cesso, e ha detto di vergognarsi del sistema carcerario italiano. So immaginare con quanta premura sia stato trattato dai suoi improvvisi compagni e dagli agenti penitenziari. Qui si intravvede un caso in cui il desiderio che un magistrato vada in galera, e precisamente a Sollicciano, non riguarda la sua formazione culturale morale e professionale, ma una punta, una puntura aguzza, di giustizia.
Era di ieri poi la notizia, che ho letto sul Fatto, delle dimissioni del legale storico del Garante nazionale dei detenuti, Michele Passione, legate all’“aria che tira”, certi esiti processuali (Reggio Emilia, dove la tortura che più canonica non si può è stata derubricata ad abuso di autorità e lesioni gravi), un innovativo contesto legale che “garantisce ogni tipo di tutela alle forze dell’ordine e criminalizza il dissenso”, una subordinazione del Garante al Dap, dal quale dovrebbe al contrario garantire sé il suo prossimo. Sempre di ieri era il conto dei suicidi della vigilia: 3 (tre). Nell’anno scorso: 91. Quelli contati. (1500 quelli tentati…). Il conto veniva intanto discusso a Roma col cardinale Zuppi, secondo il quale un atto di clemenza, in tempo di giubileo, non sarebbe buonismo – sarebbe solo buono – e gioverebbe alla sicurezza.
C’era un’altra notizia tristissima ieri. Quella di un carabiniere, il brigadiere Carlo Legrottaglie, all’ultimo giorno di servizio, ucciso da un rapinatore a Francavilla Fontana. Dei due autori della tentata rapina uno è poi stato ucciso e l’altro catturato. Chi volesse fare della commovente morte del carabiniere un’occasione per esibire la propria cattiveria sulla galera gli farebbe un gran torto. A domani.