L’assenza di una politica industriale europea spiegata con un flop esemplare
La storia della ex Magneti Marelli – oggi Marelli, joint venture italo-giapponese passata di mano al fondo KKR nel 2018 – si chiude negli Stati Uniti con un tonfo: ricorso alla procedura di Chapter 11, il “fallimento ordinato” previsto dal diritto americano per aziende in crisi con i conti. Quattro miliardi di euro di debiti, una struttura internazionale pesante, margini erosi da una transizione dell’auto che ha sradicato certezze industriali, e 6.000 dipendenti in Italia lasciati appesi a un nodo giuridico-finanziario che non hanno mai contribuito a formare. E’ l’ennesimo caso in cui un pezzo di industria italiana si smaterializza senza che se ne parli davvero.
Il made in Italy dei componenti, della meccatronica, della tecnologia embedded, crolla in silenzio mentre il dibattito pubblico si occupa d’altro. KKR, che aveva promesso rilancio e sinergie, non ha saputo (o voluto) reggere alla pressione di un mercato automotive in rivoluzione, alla difficoltà nel rifinanziare il debito e alla scarsa lungimiranza nel proteggere la parte industriale dalle scosse finanziarie. Che un fondo americano scelga di usare la giurisdizione americana per scaricare parte dei debiti e ristrutturare senza troppo clamore è prevedibile. Che ciò avvenga mentre il governo italiano discute di golden power e reshoring senza disporre di strumenti reali per intervenire è una lezione da non ignorare.
La prima lezione è che la cessione di asset strategici richiede visione di lungo periodo.
La seconda è che i fondi d’investimento non vanno né demonizzati né esaltati: vanno monitorati.
La terza è che l’Italia continua a scontare l’assenza di una vera politica industriale europea, capace di rendere competitive le imprese di casa nostra nel grande gioco delle filiere globali.
La quarta è che non si può proteggere il lavoro se non si protegge anche il capitale industriale.
Il caso Marelli non è solo una cronaca di debiti e tribunali. E’ una fotografia del vuoto in cui rischia di precipitare l’industria italiana senza visione. Se non si cambia rotta, non sarà l’ultimo pasticcio. Sarà solo il prossimo.