Lo stato ebraico non attende i negoziati di domenica in Oman e inizia la campagna contro l’Iran. Le conseguenze della mediazione molle dell’Amministrazione americana con l’Iran, finora fallita
Nella notte tra mercoledì e giovedì, tutto sembrava pronto per lo scontro in medio oriente, ma non era chiaro chi avrebbe attaccato chi. Se sarebbe stato Israele a colpire l’Iran, o l’Iran ad attaccare le basi americane in medio oriente. Gli Stati Uniti hanno ordinato l’evacuazione del personale non essenziali dall’ambasciata a Baghdad, in Iraq, e la partenza volontaria del personale diplomatico dal Bahrein e dal Kuwait. Durante la notte, un funzionario vicino alla Casa Bianca aveva riferito all’agenzia Reuters che l’incontro previsto per domenica in Oman per parlare di un accordo sul nucleare della Repubblica islamica probabilmente non sarebbe avvenuto. Ieri mattina è arrivata la smentita: l’incontro ci sarà, l’inviato speciale per il medio oriente, Steve Witkoff, si aspetta che il ministro degli Esteri della Repubblica islamica, Abbas Araghchi, presenti una risposta alla proposta di accordo avanzata dagli Stati Uniti. “Sono giorni decisivi”, dice Raz Zimmt, analista dell’Inss. “E anche Teheran lo sa”.
Gli Stati Uniti si sono accorti che il modo di negoziare usato finora non è servito e l’accordo, che secondo il presidente americano Donald Trump era molto vicino, in realtà, è lontanissimo e ad allontanarlo è stato anche un approccio sbagliato nei colloqui. Il primo errore è stato il ruolo giocato da Israele: l’Amministrazione americana ha voluto dare a Teheran il segnale che sarebbe stata in grado di tenere sotto controllo lo stato ebraico, rompendo anni di deterrenza in cui l’imprevedibilità di Israele – quella che l’ex ministro della Difesa Moshe Dayan aveva ribattezzato definendola la capacità di agire come “il cane pazzo del medio oriente” – è sempre servita a limitare i piani della Repubblica islamica. Lo stato ebraico, nonostante i freni di Washington, ha continuato a ottimizzare i suoi piani per un attacco contro i siti nucleari della Repubblica islamica, Trump ha chiesto a Netanyahu di non mettere a rischio i negoziati, Tsahal ha continuato a prepararsi, convinto che un negoziato non avrebbe portato nulla di concreto. Israele è pronto per un attacco, ma anche gli iraniani lo sono. A ottobre, Tsahal ha colpito gli impianti per la produzione di missili della Repubblica islamica, ma non aveva considerato che Teheran avrebbe iniziato a rifornirsi di componenti dalla Cina, accelerando la nuova produzione fino a 50 missili in più al mese. Secondo l’intelligence americana, Teheran possiede circa duemila missili balistici, la nuova produzione non è arrivata al punto di poter organizzare un attacco più massiccio rispetto ai due compiuti nel 2024, però l’Iran resta capace di colpire le basi americane nelle zone confinanti: Iraq, Kuwait e Bahrein. L’Aiea, l’Agenzia per l’energia atomica dell’Onu, ha dichiarato che l’Iran non ha rispettato i suoi obblighi per la non proliferazione nucleare.
La risposta da parte dell’Iran è stata annunciare l’apertura di un nuovo sito per l’arricchimento. Soltanto dopo l’annuncio dell’Aiea, gli Stati Uniti hanno iniziato ad abbandonare i toni concilianti. La risposta dell’Iran è stata minacciare un attacco alle basi militari americane. Secondo Zimmt, gli ambienti più radicali che in Iran per sei mesi si erano tenuti in disparte hanno iniziato a dettare la linea. Anche il presidente eletto con l’appellativo di “moderato”, Massoud Pezeshkian, ha promesso che Teheran continuerà con l’arricchimento dell’uranio. Secondo le indiscrezioni uscite sulla proposta americana presentata a Teheran, gli Stati Uniti erano pronti ad accettare un livello di arricchimento al 3 per cento, quindi per uso civile. Secondo Israele questa percentuale consentirebbe a Teheran di continuare con il suo progetto. Dopo la proposta americana, gli iraniani, che hanno sempre detto di arricchire l’uranio per scopi civili, hanno iniziato a mostrare la loro contrarietà, segno del fatto che il regime vuole continuare ad arricchire l’uranio a livelli militari: secondo la Repubblica islamica, la Bomba e il regime sono inscindibili, segue il paradigma di altri regimi. Ieri il capo della Casa Bianca ha detto: “Voglio evitare un conflitto. L’Iran dovrà darci cose che non sono disposti a darci”.
L’Amministrazione Trump ha riscritto le regole del medio oriente, ha mostrato che la Casa Bianca è pronta a dialogare pur di ottenere un accordo. Israele non si fida, può colpire, ma non basterebbe a cancellare tutto il programma nucleare. A Teheran rimarrebbero centinaia di centrifughe, limitato materiale fissile, tutto ciò che potrebbe sopravvivere a un attacco o essere nascosto prima. Rimarrebbero anche gli ingegneri che si occupano del programma nucleare e che con mezzi ridotti potrebbero riavviare il programma.