Il divagante affetto per il mondo della dottoressa Ornella Vanoni

L’Università Statale ha conferito la laurea magistrale honoris causa in Musica, Culture, Media e Performance alla cantante, la più longeva e poliedrica voce della musica italiana

Dottoressa Vanoni. Non che ce ne fosse così strettamente bisogno, perché una come l’Ornella il premio del magistero l’aveva già acquisito dalla sua molteplice ed enciclopedica vita d’artista.

Ma da ieri pomeriggio, c’è qualcosa in più che unisce la più longeva e poliedrica voce della musica italiana alla sua città, Milano: l’Università Statale, nell’Aula Magna della Ca’ Granda, ha conferito la laurea magistrale honoris causa in Musica, Culture, Media e Performance. Un riconoscimento che sancisce un legame biografico, sentimentale e intellettuale.

Ornella Vanoni, nata a Milano il 22 settembre 1934, abitato da settant’anni il panorama culturale e artistico di questa città della quale ha attraversato, come una fiammeggiante salamandra, tutte le stagioni, le temperie e le mode facendosene interprete, ma senza mai farsi omologare, senza confondersi nelle convenzioni, rimanendo, nel cambiamento, fedele a se stessa e alla sua identità di donna e di artista libera.

All’inevitabile ma nel complesso affettuosa ritualità dell’evento cerimoniale, scandito dalle parti previste dal protocollo – i saluti della rettrice, Marina Brambilla, l’introduzione di Giorgio Zanchetti, direttore del dipartimento dei Beni culturali e ambientali, e la cordiale e documentata laudatio del presidente del Consiglio didattico di Musica, Cultura, Media e Performance – , hanno fatto da controcanto le parole di naturale immediatezza di Ornella, seduta in poltrona al centro del palco, col microfono ad archetto che ogni tanto smetteva di funzionare per colpa della sua svagata gestualità.

Una lectio magistralis, la sua, che è stata, come non ci si poteva che aspettare, una lezione di ironico understatement, di onestà intellettuale, di divagante affetto per il mondo che l’ha circondata. Una consapevole ma disincantata ricostruzione di un percorso biografico e artistico unico per ampiezza e felicità di incontri, insegnamenti, illuminazioni, ma anche di dubbi, blocchi, timori assillanti, ripensamenti.

“Ero una cialtrona, non mi è mai piaciuto studiare. Chissà cosa direbbero oggi i miei genitori a vedermi laureata!”.

“Da ragazza non sapevo cosa fare, ero di un’ignoranza terrificante. Poi al Piccolo ho incontrato Strehler e ho imparato a stare su un palcoscenico guardando le sue prove, quello che chiedeva di fare ai suoi attori”.

“Ero timida, di una timidezza che mi raggelava. Ma ero anche testarda e non mi piacevo così. Alla fine, anche se con enormi fatiche, ce l’ho fatta”.

“Il teatro mi ha insegnato tanto e sapevo di essere diventata brava. Ma poi ho capito che quello che più volevo fare era cantare, era la musica il mio mondo”.

Ornella è passata leggera sui suoi settant’anni di carriera, nominando tutti, o gran parte dei nomi, che le hanno dato qualcosa: Strehler, appunto, e gli anni del Piccolo Teatro; quelli dei recital della canzoni della Mala con Gino Negri, Dario Fo, Fiorenzo Carpi, Enzo Jannacci e il Teatro Gerolamo (“a un certo punto non ne potevo più di cantare quelle canzoni lì”); l’incontro con Gino Paoli (“la mia vita è cambiata quando negli studi della Ricordi ho incontrato un ragazzo (bruttino), che suonava il piano (malino) e gli ho chiesto: “Scriveresti una canzone per me?”); quello con Lucio Ardenzi, impresario teatrale, sposato nel 1960 e padre di suo figlio Cristiano; la stagione della grande popolarità televisiva a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, tra Festival di Sanremo e varietà in prima serata; l’incontro con Sergio Bardotti e la musica brasiliana (e Vinicius de Moraes e Toquinho e Antonio Carlos Jobim e Chico Buarque), da cui nasce quel capolavoro di La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria (1976); e poi, a partire dagli anni Ottanta, le prime esperienze di collaborazione alla scrittura di testi che la fanno entrare a buon diritto nel mondo della canzone d’autore, a fianco di Paolo Conte, Fabrizio De André, Pierangelo Bertoli, Ivano Fossati; le contaminazioni con grandi interpreti del jazz nordamericano (George Benson, Gil Evans, Ron Carter, Herbie Hancock); e di nuovo la rinnovata vena creativa che sgorga dall’incontro, a metà degli anni Novanta, con Mario Lavezzi (e il trombettista Paolo Fresu) e il bellissimo album Sheherazade, un inno alla potenza intellettuale e seduttiva della donna; per finire alle esperienze musicali che punteggiano i primi due decenni del nuovo millennio, sempre improntati a quell’altra qualità che, oltre alla tenace testardaggine, ha contraddistinto la sua esperienza di donna e di artista: una curiosità inesauribile. Da qui nascono le performance in coppia con artisti come Samuele Bersani, Pacifico, Mario Biondi, Carmen Consoli, Vinicio Capossela, fino ai più recenti interpreti della musica leggera contemporanea, da Colapesce e Dimartino a Mahmoud ed Elodie. Alcuni di questi nomi erano ieri presenti alla celebrazione del conferimento accademico, a dimostrare la loro affettuosa riconoscenza.

È difficile contenere in una selezione il multiforme catalogo espressivo dell’arte vocale di Ornella Vanoni, non a caso neo-dottoressa di Musica, Cultura, Media e Performance. Ma ci proviamo lo stesso.

Hanno ammazzato il Mario

(1958, testo di Dario Fo, musica di Fiorenzo Carpi)

“Fin da ragazzo correva in bicicletta per l’Amatori B Gallaratese con una Maino rubata con destrezza a un corridore della Pedal Monzese”

Senza fine

(1961, Gino Paoli)

“Tutto è ormai nelle tue mani, mani grandi, mani senza fine”

La musica è finita

(1967, testo di Franco Califano e Nicola Salerno, musica di Umberto Bindi; questa è la versione del Festival di Sanremo)

“Ecco, la musica è finita, gli amici se ne vanno e tu mi lasci solo più di prima”

Una ragione di più

(1969, testo di Franco Califano, Ornella Vanoni e Luciano Beretta, musica di Mino e Franco Reitano; per la prima volta Ornella collabora alla stesura di un testo di una sua canzone).

“Sai, c’è una ragione di più per dirti che vado via. Vado e porto anche con me la tua malinconia”.

L’appuntamento

(1970, testo di Bruno Lauzi, cover da Sentado a beira do caminho di Roberto Carlos ed Erasmo Carlos)

“Amore perdono, ma non resisto, adesso per sempre non esisto, non esisto, non esisto”

Domani è un altro giorno

(1971, testo di Giorgio Calabrese, cover di The Wonders You Perform di Jerry Chestnut)

“È uno di qui giorni in cui rivedo tutta la mia vita bilancio che non ho quadrato mai!”

La voglia la pazzia

(1976, testo di Sergio Bardotti, cove di Se ela quissesse testo di Vinicius de Moraes, musica di Toquinho)

“A questo punto stiamo tanto bene io e te che non ha senso tirar fuori i “come” ed i “perché””

La famosa volpe azzurra

(1980, testo di Fabrizio De André e Sergio Bardotti, cover di The famous blue raincoat di Leonard Cohen)

“Le quattro di sera di fine dicembre ti scrivo e non so se ci servirà a niente.


Milano è un po’ fredda ma qui vivo bene, si fa musica all’“Angolo” quasi tutte le sere”

Vai, Valentina

(1981, testo di Ornella Vanoni e Sergio Bardotti, musica di Maurizio Fabrizio)

“L’altra mattina l’ho trovata in un caffè, lacrime calde su tre fette di Saint Honoré”

Rossetto e cioccolato

(1995, testo di Ornella Vanoni e Oscar Avogadro, musica di Roberto Pacco)

“Sarà bello, bellissimo, travolgente, lasciarsi vivere totalmente, dolce, dolcissimo e sconveniente coi bei peccati succede sempre”

Una bellissima ragazza

(2007, testo di Gianluca Martinelli, musica di Carlo Fava)

“È da un po’ che preferisco andare a letto presto ma la notte spesso sogno e la notte spesso esco, esco”

Imparare ad amarsi

(2018, testo e musica di Bungaro, Pacifico, Antonio Fresa e Cesare Chiodo)

“Bisogna imparare ad amarsi in questa vita, bisogna imparare a lasciarsi quando è finita e vivere ogni istante fino all’ultima emozione, così saremo vivi”

Toy Boy

(2021, testo e musica di Colapesce e Dimartino)

“Faremo il bagno tutti nudi (a Filicudi o ad Alicudi), faremo tutto quello che tu vuoi (ma non voglio niente io da voi)”

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