Capital market union. L’occasione persa e l’ultima chance per l’Europa

Dopo dieci anni di lungaggini, a dispetto della pressione degli operatori di mercato, l’Eu ha da poco derubricato la Capital market union (Cmu), inaugurando la nuova Savings and investments union strategy. L’obiettivo non cambia: canalizzare più risparmio verso gli investimenti produttivi. Ma il tempismo non è dei migliori

Dopo dieci anni di lungaggini, a dispetto della pressione degli operatori di mercato, l’Eu ha da poco derubricato la Capital market union (Cmu), inaugurando la nuova Savings and investments union strategy (Siu). Basata sui pilastri del rafforzamento del risparmio e degli investimenti, del migliore accesso ai capitali per l’imprese, della promozione e di un mercato finanziario più integrato, l’obiettivo non cambia: canalizzare più risparmio verso gli investimenti produttivi. A seguito del difficile varo della Retail Investments Strategy (Ris), finalizzata a rendere più semplice e sicuro l’accesso dei risparmiatori ai mercati finanziari, la Siu archivia la Cmu in compagnia della European banking union, anch’essa incompiuta.

Per chi sente la frustrazione di vedere molti anni (la Cmu parte nel 2015) sprecati, questa ulteriore operazione di goldplating regolatorio non arriva né al momento giusto né con gli obiettivi corretti. La scelta temporale della mutazione della Cmu nella Siu pare inopportuna: lo “tsunami Trump” ha sortito anche l’effetto di doccia scozzese per i regolatori Eu, sbeffeggiati perché ritenuti responsabili di una governance tale da non renderli controparte rappresentativa delle volontà dei 27 Paesi. L’ annuncio della Commissione di una nuova agenda di medio termine per la Siu (a fine 2026 un nuovo rapporto sulla competitività del settore bancario europeo e nel secondo semestre 2027 la proposta di revisione di mediotermine della Siu stessa!) e dell’ulteriore rafforzamento della supervisione europea (ESAs), non ci aiuta ad apparire più determinati e pragmatici nel tutelare le scelte finanziarie e gli investimenti europei. Chi avesse la pazienza di leggersi la documentazione relativa alla Siu, potrà notare come la staffetta tra le due strategie non fa che riproporre tutti i contenuti, i problemi irrisolti e gli obiettivi falliti della Cmu. All’avvicinarsi della scadenza del mandato della scorsa Commissione, gli appelli per un’accelerazione erano parsi più convinti.

Nulla – tranne la nuova denominazione da Cmu in Siu – è stato fatto. Gioco facile per l’amministrazione Trump “schiacciare palla” sulla balcanizzazione europea coi suoi mercati asfittici. Resteremo ancora a lungo acefali di un mercato liquido e integro? Un mercato in grado di fornire alle economie dei 27, a fianco del già iper-regolato sistema bancario, quei capitali freschi che da tutti i continenti guardano all’Europa come giusto approdo dei loro investimenti. E’ qui, nella vecchia Europa, che vorrebbe avere un migliore accesso l’enorme liquidità globale: si genererebbero grandi opportunità di occupazione, di investimenti, di ricerca finanziaria indipendente, di applicazioni di AI, LLM e Big Data.

La vicenda dei dazi mostra come è tuttora forte l’inganno in cui continuano a cadere politici, media, economisti e analisti europei intrappolando pensiero e azione esclusivamente sui disavanzi della bilancia dei pagamenti delle merci e non dei servizi. In particolare quelli finanziari, dove gli Usa detengono un indiscusso dominio e il saldo resta a loro favore da sempre (lo U.S. Bureau of Economic Analysis registra oltre 2,7 trillioni di dollari di surplus Usa sui servizi totali nei confronti del resto del mondo tra il 2013 e il 2023). I dati parlano: il sistema bancario e il mercato dei capitali e dei servizi finanziari Usa (leggasi: attività delle borse cash e derivati, i ricavi per i servizi bancari commerciali, assicurativi e di finanza strutturata, i servizi di consulenza strategica, di M&A e investment banking, di asset management, di private banking, di algoritmi e infrastrutture di AI e storage dei Data Center) controllano in Europa il risparmio, l’advisory strategico di governi e grandi gruppi industriali, la gestione dei risparmi e degli investimenti.

Su questi scelte strategiche, non solo sulle nostre indiscusse eccellenze merceologiche e imprenditoriali, dovremmo focalizzare la negoziazione e i conseguenti provvedimenti con l’altra sponda dell’Atlantico. Senza un’Europa unita su banche e mercati dei capitali il nostro arco resta senza frecce, l’economia priva dei capitali necessari. Al di là degli apprezzabili sforzi dell’Italia per rendere la piazza finanziaria più attraente ai fini di un migliore afflusso del risparmio alle imprese, per queste ragioni dobbiamo augurarci che l’ Europa ingrani ora una marcia con più focus, chiarezza, obiettivi tangibili ed efficienza esecutiva. Come Mario Draghi ha stigmatizzato davanti al Parlamento europeo lo scorso 18 febbraio citando proprio l’“aborto” della Cmu, oggi Siu, stiamo tutti da troppo tempo aspettando che l’Europa, finalmente e veramente, agisca.



Davide Grignani, Board member Aiaf

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