Dopo Ginevra, si riparte da Londra. Il round zero dei negoziati fra Trump e Xi per abbassare la pressione di una guerra commerciale che nel mese di maggio ha fatto diminuire del 34 per cento le esportazioni verso l’America
L’accordo tra Cina e Stati Uniti sui dazi e le terre rare c’è. Ad annunciarlo è il presidente americano Donald Trump, che su Truth ha scritto: “Il nostro accordo con la Cina è concluso, soggetto all’approvazione definitiva del presidente Xi e mia”. Inoltre, ha aggiunto che “la Cina fornirà tutti i magneti e i minerali rari necessari” e che “allo stesso modo, forniremo alla Cina ciò che è stato concordato, compresi i visti agli studenti cinesi che utilizzano i nostri college e università”. Sui dazi i dettagli non sono ancora chiari. Il presidente si è limitato a scrivere: “Otterremo complessivamente il 55 per cento dei dazi dalla Cina e la Cina otterrà il 10 per cento”.
Lunedì pomeriggio a Londra si sono incontrate di nuovo le delegazioni di Cina e America che, dopo la telefonata fra i rispettivi leader Xi Jinping e Donald Trump cinque giorni fa, dovrebbero lavorare per abbassare la pressione di una guerra commerciale che nel mese di maggio ha fatto diminuire del 34 per cento le esportazioni dalla Cina verso l’America rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Dopo il primo incontro a Ginevra fra le due delegazioni in molti si erano detti ottimisti, ma poi la situazione era precipitata di nuovo.
Il 12 maggio scorso il primo round di colloqui fra Scott Bessent, segretario del Tesoro americano, e Jamieson Greer, rappresentante per il Commercio, con il vicepremier cinese He Lifeng, che è anche responsabile delle relazioni economiche con l’America, sembrava un successo per l’Amministrazione Trump, nella logica di costringere alleati e avversari a sedersi al tavolo negoziale. A Ginevra si era deciso per una sospensione di novanta giorni dei dazi reciproci – arrivati a un livello di embargo di fatto – ma poi Trump aveva accusato Pechino di “violare gli accordi”. Il problema è il controllo sulle esportazioni della Repubblica popolare di materiali sensibili per l’industria americana e in generale occidentale. Il 4 aprile scorso la Cina ha di fatto bloccato l’export di sette tipi di terre rare, e in particolare dei potenti magneti realizzati con elementi chimici del gruppo delle terre rare, per esempio il neodimio e il samario, di cui la Cina ha di fatto un monopolio globale. Dopo Ginevra, non avendo allentato le restrizioni sull’export di quei materiali, la Casa Bianca aveva risposto con la sospensione delle vendite verso aziende cinesi di particolari tecnologie americane (parti di motori a reazione, semiconduttori, alcuni prodotti chimici e macchinari) secondo gli analisti fondamentali per la Cina per produrre, per esempio, i suoi aerei. Prima della telefonata diretta fra Xi e Trump le due prime economie del mondo si trovavano a un passo dal trasformare una guerra di dazi in una guerra sulle catene di approvvigionamento, potenzialmente ben più grave anche per l’economia globale.
Secondo quanto raccolto dalla stampa internazionale e dal Foglio, i colloqui di ieri a Londra si sono aperti e andranno avanti fino a oggi affrontando praticamente un solo tema: le restrizioni reciproche su materiali e prodotti fondamentali per entrambi i paesi. E’ anche per questo che Trump ha inviato a Londra, oltre a Bessent e Greer, anche Howard Lutnick, segretario al Commercio degli Stati Uniti, che si occupa più da vicino della regolamentazione delle esportazioni di tecnologie sensibili: un segnale sul fatto che la Casa Bianca è disposta a negoziare con Pechino – qualcuno ha scritto ironicamente che la Cina ha “parecchie carte in mano” per costringere Trump a cedere con Xi Jinping. Il direttore del Consiglio economico nazionale americano, Kevin Hassett, ha detto ieri alla Cnbc di aspettarsi che “subito dopo la stretta di mano, eventuali controlli sulle esportazioni dagli Stati Uniti vengano allentati e le terre rare vengano rilasciate in grandi quantità, e poi potremo tornare a negoziare questioni di minore entità”. Manon è facile come prevedono alla Casa Bianca. Il primosegnale riguarda la stampa ufficiale cinese, che ieri parlava del “primo incontro del meccanismo di consultazione economica e commerciale Cina-Stati Uniti”, come se i colloqui fra America e Cina fossero ancora alla fase zero. Ieri il NewYork Times ha scritto che sebbene la Cina abbia ricominciato a rilasciare alcune licenze, i divieti all’export che restano da parte cinese sui supermagneti resistenti al calore, che vengono realizzati attraverso un metallo in particolare delle terre rare, il samario, “hanno messo in luce una grave vulnerabilità nella catena di approvvigionamento militare statunitense”, perché senza quello specifico magnete, “l’America e i suoi alleati in Europa faranno fatica a rifornire le scorte di materiale militare recentemente esaurite”. Il samario è fondamentale “per resistere al calore generato dai motori elettrici ad alta velocità in spazi ristretti, come i coni di punta dei missili”.
E’in parte questo il motivo per cui Pechino potrebbe aver scelto Londra come luogo del dialogo – oltre a una ragione logistica di facile raggiungibilità per entrambe le delegazioni. Ieri il vicepremier He Lifeng ha incontrato separatamente anche la cancelliera dello scacchiere britannica, Rachel Reeves, considerata una colomba nelle relazioni con Pechino e che ha parlato più volte della necessità del Regno Unito di guardare – soprattutto economicamente – verso la Cina. Assieme alla delegazione da Washington è arrivato a Londra anche un messaggio: un alto funzionario dell’Amministrazione americana ha fatto sapere alla stampa che “gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati dal fatto che la Cina possa avere accesso alle comunicazioni sensibili di uno dei nostri più stretti alleati”, riferendosi al progetto della nuova mega ambasciata cinese alla Royal Mint che il governo di Keir Starmer sarebbe sul punto di approvare a seguito delle pressioni di Pechino, e sulle quali in molti, anche nel governo inglese, hanno espresso preoccupazione. Pechino, anche a Londra, ha ancora parecchie carte da giocare.