Nel mondo Gravina la scelta degli alleati conta quanto quella degli allenatori

Il presidente della Figc mantiene salda la sua posizione grazie a un’ampia maggioranza e a scelte strategiche di alleanze. Se nemmeno un uomo con tanto potere riesce a cambiare il calcio italiano, forse il problema non è lui

Ha resistito a dossieraggi, insulti, attacchi bipartisan e hashtag di tendenza. In tanti hanno provato a far cadere Gabriele Gravina: il Coni, la Lega Calcio, la politica, opinionisti e hater. E pure un’inchiesta per autoriciclaggio, ora spostata a Sulmona. Ma lui è ancora lì. Anzi, con gli anni il consenso è cresciuto: 97,20% nel 2018, 73,45% nel 2021, fino al 98,68% dello scorso febbraio. “Non mollo, vado avanti, ne sono convinto io e il 99% dei delegati”, ha detto. E in effetti, chi molla con quei numeri? Nel calcio – come in tutte le federazioni – le regole seguono logiche diverse da quelle dell’opinione pubblica. Ricordate Tavecchio e la sua infelice uscita sulle banane? Resistette fino alla disfatta con la Svezia. Allora ci furono le dimissioni. Oggi, che non andare al Mondiale sta diventando la norma, non si dimette più nessuno. Figuriamoci Gravina, che ora ha con sé anche la Lega Calcio, i presidenti di federazione e una politica distratta da altro. Solo Claudio Lotito continua a contestarlo apertamente, ma il presidente della Lazio è da sempre capofila degli anti-Gravina. Lo si può criticare su molte cose, ma non sulla scelta degli uomini. Ha scelto Mancini e ha vinto un Europeo. Quando il Mancio lo ha lasciato con una Pec in piena estate, ha rischiato per liberare Spalletti. Ora che cambia di nuovo, punterà su Ranieri, considerato da molti l’unico salvatore possibile.

Ha lasciato a Spalletti la regia dell’uscita per evitare strappi, convinto che fosse il male minore. Gravina sa scegliere gli allenatori, ma soprattutto sa scegliersi gli alleati. A votarlo sono stati 275 delegati, in rappresentanza di tutte le componenti del calcio italiano: Lega Serie A, B, Pro, Dilettanti, calciatori, allenatori, arbitri. Con un sistema a pesi ponderati (la Lnd vale da sola il 34%), Gravina ha saputo costruire una maggioranza schiacciante. Non è stato calciatore, né tecnico, né arbitro, ma conosce ogni angolo del sistema elettorale. Ha fatto promesse a molti, e la maggior parte le ha mantenute. Quando non riesce a convincere, aggira l’ostacolo – come con la Lega di A, aumentandole il potere. “Se poi questi undici bischeri non fanno cinque gol alla Moldova, che colpa ne ha Gravina?”, dicono i suoi. E se in Italia ha numeri da presidente eterno, anche in Europa non scherza: rieletto nel Comitato Esecutivo Uefa con 48 voti su 55, nominato primo vicepresidente da Ceferin. Conta più in Europa che in patria. Se nemmeno un uomo con tanto potere riesce a cambiare il calcio italiano, forse il problema non è lui. E’ il sistema. #GravinaOut resta di tendenza, ma sembra non portare da nessuna parte. Almeno fino alla prossima figuraccia.

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