Manuel Agnelli: “Agli Afterhours piaceva provocare, mancava quella attitudine nella musica italiana”

Per il tour del ventennale dell’album, il cantante rinuncia anche a X-Factor. E ritrova l’energia degli albori della band milanese che nel 2005 “affrontava la mediocrità”. “In America ci hanno definiti i ‘Soundgarden intelligenti’. Ho picchiato un fan, poi lui ha comprato un nostro poster”

“Venivamo da un periodo particolare, avevamo iniziato come disturbatori. Andavamo sul palco vestiti da bambine, con le trecce e le gambe pelose e suonavamo cose pesanti. Ci piaceva provocare perché mancava quella attitudine nella musica italiana. Non eravamo disposti a sottoscrivere compromessi”. Gli Afterhours nascono in un contesto musicale italiano che, come racconta Manuel Agnelli in occasione del ventennale di “Ballate per piccole iene”, mancava di quella attitudine alla provocazione che la band sentiva il bisogno di esprimere. L’urgenza di sfidare le convenzioni ha plasmato l’identità del gruppo fin dalle sue origini, costruendo un ambiente indipendente e sempre fedele a se stesso, capaci di attirare migliaia di persone ai concerti senza il supporto di radio o televisioni. “Il confronto col pubblico era la nostra matrice”, racconta Agnelli. Ora, il disco del 2005 è tornato da venerdì 6 giugno in un’edizione speciale e sarà riproposto interamente durante il tour estivo in partenza il 26 giugno da Bologna, “con la formazione dell’epoca”. Appuntamenti che non sono solo tuffi nel passato ma lucide analisi di un percorso artistico fatto “di provocazione, ricerca interiore e di una viscerale dedizione all’autenticità”.

La musica, spiega Agnelli, è “certamente un lavoro ma è la cosa che mi ha veramente salvato la vita e che voglio preservare, se non c’è quello il resto non conta. Sennò diventi un infelice di successo e cioè un fallito”. Con “Ballate per piccole iene” e il precedente “Quello che non c’è” (2002), gli Afterhours intraprendono un percorso “più introspettivo e oscuro. Sono due dischi sul disorientamento – racconta il cantante – e sul fatto di accettare la propria mediocrità, il non raggiungere i propri obiettivi”. In questi due lavori quindi viene meno quell’ironia che aveva caratterizzato i lavori precedenti ed era stata talvolta fraintesa (“Non volevamo essere Elio e le Storie Tese”).

Poi il cantautore milanese ricorda come nel 2006 gli Afterhours si sono imbarcati in un lungo tour di 146 date in giro per il mondo: “Pensavamo di essere piccoli ma quando abbiamo letto che la fanzine statunitense PopMatters ci definì ‘Come i Soundgarden ma intelligenti’, ci siamo tolti di dosso ogni complesso di inferiorità”. Durante quel tour, racconta Agnelli, “un fan mi ha sputato un chewingum nell’occhio, gli lanciai la chitarra e scesi per confrontarmi. Quando mi toccò, qualcosa in me scattò e lo picchiai. Me ne vergogno ancora oggi. Poi però mi hanno detto che quel fan, con un occhio pisto, stava comprando un poster al merchandising”.

Quel disco pubblicato il 15 aprile 2005, prodotto da Greg Dulli degli Afghan Wigs, diventa una colonna portante dei concerti successivi. “Le piccole iene eravamo proprio noi”, gli Afterhours, racconta Agnelli, “in un periodo in cui affrontavamo la nostra mediocrità”. E la copertina, con le foto di Guido Harari, il “miglior fotografo al mondo”, dovevano incarnare proprio questo concetto. Però dopo un periodo in cui gli Afterhours erano diventati “come una moglie che stava a casa a stirare e cucinare”, generando una “mancanza di amore vero” e spingendolo verso il progetto solista, la proposta del tour del ventennale e della ristampa dell’album ha riacceso una “luce negli occhi” dei membri della band. Per questo Agnelli ha rinunciato persino a X-Factor, lasciando il suo posto da giudice a Francesco Gabbani. “Ringrazio la tv, mi ha messo in mezzo alla gente permettendomi di essere me stesso. Ho scoperto che si può vivere la musica in un modo nuovo”. Tuttavia, spiega il cantante, l’ambiente televisivo ha anche dei rischi: “Ti fossilizza e rischi di diventare retorico”. I soldi guadagnati però hanno permesso la realizzazione di altri progetti, più “piccoli” e più “diretti”, come il musical Lazarus ideato da David Bowie, riflettendo il desiderio di Agnelli di mantenere un “controllo autentico” sulla propria espressione artistica.

Poi l’artista milanese racconta come in questi vent’anni il panorama musicale sia diventato “un misto di pragmatismo e preoccupazione”. Dal punto di vista imprenditoriale è “una catena di montaggio super oliata” ma a livello di qualità è “una disgrazia”. Critica aspramente la “grossa balla del riscatto sociale raccontata ai giovani musicisti”, bollando la “storia della periferia” come un mero strumento per “vendere ai ragazzini. C’è una cultura contraddistinta da materialismo cosmico ed egoismo” nonché una “cieca sottomissione ai numeri”. Nonostante ciò, Manuel Agnelli non smette di sperare nei giovani musicisti. Il contest “Carne fresca” nel suo locale Germi, a Milano, gli ha mostrato una generazione di “15-25enni che ancora hanno voglia di suonare”.

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