Contro il fanatismo che opprime sia gli israeliani sia i palestinesi

Nell’insieme della regione vivono all’incirca sette milioni di ebrei israeliani e sette milioni di arabi palestinesi che non hanno nessun altro posto in cui andare. Non c’è alternativa razionale alla convivenza”. L’intervento di Gad Lerner da piazza San Giovanni

Pubblichiamo l’intervento di Gad Lerner dal palco della manifestazione organizzata da Pd, M5s e Avs contro la guerra a Gaza a Roma, piazza San Giovanni, sabato 7 giugno.




Con imperdonabile ritardo, anche i governanti dei paesi occidentali si stanno accorgendo della carneficina in corso a Gaza da venti mesi. Travolti dall’indignazione dell’opinione pubblica, non possono più voltare la testa dall’altra parte. Se fino a ieri avevano taciuto, se rifiutano tuttora sanzioni contro un governo israeliano che ha apertamente teorizzato ciò che sta facendo, cioè la distruzione di Gaza è perché li muoveva un calcolo indicibile: lasciamogli finire il lavoro, è uno sporco lavoro ma lo fanno anche per conto di tutti noi nazionalisti occidentali. Un calcolo sbagliato oltre che cinico, che trasformerebbe la nostra civiltà in barbarie.

Lasciatemi dire allora per prima cosa: no, non in nostro nome. Basta complicità con questo crimine, dissociarsi a parole non basta. Tanto meno si dica che lo si fa in nome della difesa degli ebrei, questo sporco lavoro di massacrare Gaza e annettere la Cisgiordania per rendere impossibile la nascita di uno stato palestinese. Siamo figli e nipoti di famiglie sterminate qui in Europa. Al destino di Israele ci sentiamo indissolubilmente legati, è ovvio, anche se siamo cittadini italiani. La mattina del 7 ottobre 2023 abbiamo rivissuto l’incubo del rastrellamento militare che prevede la cattura o l’uccisione uno a uno dei civili, comprese le donne e i bambini.

Da questa grande piazza, allora, vorrei rivolgermi alla piccola Comunità ebraica italiana, di cui faccio parte: ho provato lo stesso vostro tormento. Siamo rimasti impietriti nel sentir definire da qualcuno il 7 ottobre un’azione partigiana. Mai i partigiani fecero nulla di simile. Diciamolo, chi inneggia a Hamas bestemmia la Resistenza. La sua ideologia del martirio, che celebra il sangue versato dal popolo di Gaza come sacrificio necessario a ottenere in ricompensa la terra che è nostra per diritto divino, è la bestemmia che copre una realtà di segno opposto: queste decine di migliaia di morti in venti mesi sono la peggior sciagura toccata in sorte al popolo palestinese in un secolo di conflitto.

Ma è proprio per tutte queste ragioni che Israele non doveva infilarsi nella trappola tesagli da Hamas, cadendo preda di un delirio di onnipotenza alimentato dall’illusione che basti la superiorità militare per prendersi tutto.

Noi sappiamo che questa storia non è cominciata il 7 ottobre. Già la mattina dopo quel massacro il giornale israeliano Haaretz sapeva quel che scriveva, affermando: la responsabilità di questo disastro ricade su Benjamin Netanyahu, a capo di “un governo di esproprio e annessione”. Dura da oltre mezzo secolo l’occupazione militare dei territori palestinesi. Un’occupazione che non solo ha perpetuato la sofferenza di chi la subisce. Ma come un virus si è inoculato, degradandole, nelle istituzioni e nelle mentalità degli occupanti.

Ciò spiega anche l’incancrenirsi, l’inferocirsi di questa guerra; il fanatismo di due gruppi dirigenti che tendono sempre più a rassomigliarsi: “Dal fiume Giordano al mare Mediterraneo Israele è terra ebraica perché sta scritto nella Bibbia”, dicono gli uni. “Dal fiume Giordano al mare Mediterraneo la Palestina tornerà per intero islamica”, replicano gli altri. Eppure stiamo parlando di due popoli assai evoluti, non di trogloditi. Da decenni viene imposta loro una separazione assoluta, premessa necessaria a rifiutare l’altro, a de-umanizzarlo, a farne l’oggetto di una punizione collettiva.

I fanatici sono al potere ma non hanno nessuna soluzione razionale da proporre. Nell’insieme della regione vivono all’incirca sette milioni di ebrei israeliani e sette milioni di arabi palestinesi che non hanno nessun altro posto in cui andare. Il massacro o la deportazione totale di uno dei due popoli, oltre che criminale, risulta inverosimile. La convivenza è l’unico sbocco razionale.

Oggi viviamo un paradosso. Israele domina sul piano militare, perpetra crimini di guerra e crimini contro l’umanità, affida il suo destino a uno stato di guerra permanente, eppure avverte il tracollo non solo della sua reputazione ma anche della sua sicurezza.

Noi ebrei italiani che scendiamo in piazza e sottoscriviamo appelli contro la pulizia etnica, per il riconoscimento dello stato di Palestina – ci chiamiamo Mai Indifferenti, voci ebraiche per la pace e Laboratorio ebraico antirazzista – siamo in minoranza nelle nostre Comunità. Magari ci danno dei traditori perché in guerra tendono sempre a prevalere gli istinti di appartenenza, ma avvertiamo l’urgenza, insieme a tanti cittadini israeliani, di difendere Israele da se stesso, dal male che fa a se stesso oltre che agli altri.

Chi vi parla è un sionista. Mettetevi nei miei panni, chi della mia famiglia non è riuscito a emigrare laggiù, dove sono nati i miei genitori, è stato sterminato. Sionista non equivale a fascista e non equivale ad assassino, spiace doverlo ricordare ancora dopo una vita di militanza al fianco dei miei fratelli palestinesi. E’ innegabile che la conduzione criminale della guerra di Gaza resuscita un odio atavico contro gli ebrei. Voi vi offendete, giustamente, quando vi sentite scagliare addosso con strumentalità l’infame accusa di antisemitismo. Anche questo ci ha fatto Netanyahu: s’intesta abusivamente la memoria della Shoah per tentare invano di darsi un salvacondotto morale; e così induce molta gente a dire “basta, questi ebrei ci hanno stufato con la Shoah”.

Pensate a cosa possano provare due donne sopravvissute all’inferno di Auschwitz come Liliana Segre ed Edith Bruck. Tutti lì a pretendere che dalle loro labbra esca la parola genocidio, altrimenti la repulsione da loro più volte dichiarata per Netanyahu non sarebbe valida. Chi lavora per la pace rispetta le sensibilità altrui.

La forza di questa piazza democratica sarà bene impiegata se ci aiuterete a favorire l’incontro fra i dissidenti israeliani e palestinesi, quelli che sanno che Shoah e Nakba sono sinonimi; i dissidenti sono forza viva all’interno di entrambe le società, unico antidoto agli effetti spaventosi del nazionalismo e del fondamentalismo.

Poco prima di morire Primo Levi ha scritto: “Non è facile né gradevole scandagliare questo abisso di malvagità, eppure io penso che lo si debba fare, perché ciò che è stato possibile perpetrare ieri potrà essere nuovamente tentato domani, potrà coinvolgere noi stessi o i nostri figli”.

E a chi gli chiedeva perché in Germania nessuno reagisse durante la pianificazione dello sterminio, Primo Levi rispose così: “La maggior parte dei tedeschi non sapevano perché non volevano sapere, anzi, perché volevano non sapere”. Ancora oggi c’è tanta gente che non vuole sapere, anzi, che vuole non sapere. Noi siamo qui perché vediamo e non possiamo tacere.

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