Tornanti referendari: dalla campagna dei Ds per l’astensione alle polemiche su Meloni. Parla Cuperlo (Pd)

“Rispetto al 2003, l’astensione è oggi un problema molto più serio. Se sei al governo devi valorizzare la partecipazione. La premier e La Russa non scrivono una buona pagina per la qualità della democrazia”, dice l’esponente dem

Sono corsi e ricorsi, storici e politici. Che certe volte ritornano come una sorta di cortocircuito elettorale, sotto forma di volantino. Come quello dei Democratici di sinistra, che invitava all’astensione ai referendum del 2003, sventolato giovedì scorso dalla premier Giorgia Meloni in risposta agli attacchi delle opposizioni. “Sinceramente non so come sia nato, non ho un ricordo diretto di quel manifesto”, dice al Foglio Gianni Cuperlo. Oggi esponente dem di primo piano, ma all’epoca responsabile comunicazione dei Ds, nella segreteria guidata da Piero Fassino. Probabilmente quel testo, in cui si diceva “non votare un referendum inutile e sbagliato è un diritto di tutti”, passò anche dalle sue mani. E da quelle di molti altri esponenti diessini, che allora hanno fatto campagna per affossare l’estensione dell’articolo 18 alle aziende con meno di 15 dipendenti e poi, tempo dopo, hanno assunto incarichi di primo piano nel Partito democratico. “Ma oggi tenderei a occuparmi di cose più attuali”, taglia corto Cuperlo. “Perché – spiega – sugli appelli all’astensione penso che il punto principale riguardi l’esercizio di quella responsabilità propria di chi ricopre incarichi pubblici”.

Allora si trattò di un’iniziativa di partito, questa volta invece sono parole che arrivano direttamente da Palazzo Chigi. “E nel momento in cui si assumono certe cariche si dovrebbe rispettare una sorta di deontologia istituzionale”, è il giudizio del parlamentare triestino. Meloni ha detto che andrà alle urne per dare un segnale, ma non ritirerà le schede e dunque non sarà conteggiata ai fini dell’affluenza. Una “furbata” per dirla con le parole pronunciate al Foglio da un altro dirigente diessino Cesare Salvi, che tuttavia ricordava pure come non ci sia in fondo alcuna novità: “Una pratica legittima, che non gioverà a Meloni. Ma lo hanno fatto tutti: a destra, al centro e pure a sinistra”, aveva aggiunto l’ex ministro del Lavoro con D’Alema e Amato. E in effetti basta una piccola ricerca per ricostruire come l’astensione tattica sia stata utilizzata più e più volte. Oltre ai Ds e allo storico precedente di Bettino Craxi (“andate al mare)” si sono spesi in questo senso Matteo Renzi, Giorgio Napolitano e pure Sergio Mattarella nel 1999 ha legittimato la scelta di astenersi, quando ricopriva la carica di vicepresidente del Consiglio.

Cuperlo invece si mantiene sulle posizioni della segretaria dem Elly Schlein, che punta ai referendum per mandare un segnale al governo – al di là del quorum e della vittoria dei sì: obiettivo minimo 12 milioni di voti – e anche ieri ha tirato bordate al governo, definendo vergognosa la posizione di Meloni. “Se sei al governo valorizzare la partecipazione democratica fa parte del tuo ruolo, nel rispetto della funzione che stai esercitando”, spiega quindi Cuperlo. “Soprattutto oggi in una stagione in cui l’astensionismo è sempre più forte”. Sta qui, secondo il parlamentare dem, l’altra grande differenza rispetto alle passate campagne per disertare le urne. “Dal 2003 sono passati più di 20 anni e quello dell’astensione è divenuto un problema molto più serio. E quando alte cariche istituzionali, come la premier o il presidente del Senato Ignazio La Russa si esprimono in questo modo – dice infine Cuperlo –­non scrivono una buona pagina per la qualità della democrazia”. Ma c’è da scommetterci, non sarà l’ultima volta.

La battuta finale la chiediamo a una figura importante della sinistra italiana, il tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti. “Io vengo da una generazione convinta che a votare ci si deve andare sempre”. E i referendum del 2003? “Sono scelte politiche e come si dice nella Chiesa, meglio sbagliare insieme, che indovinare da soli”.

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