Nella letteratura per l’infanzia quello che alcuni chiamano wokismo ha avuto il difetto di sostituire l’immaginazione con la didattica moralista. Positivo che Adelphi riporti in auge libri di autori come Ruth Krauss e Maurice Sendak che celebrano la fantasia libera e ribelle dell’autentica infanzia
Si è creata l’illusione negli ultimi anni che essere ribelli significasse essere impegnati. Impegnati a cambiare le cose più che a essere visceralmente contrari all’autorità. Lo abbiamo visto con la spesso fastidiosa “wave” di volumi illustrati per bambini che, per diventare buoni cittadini del futuro, devono conoscere già a quattro anni le battaglie di Nelson Mandela e di Greta Thunberg. Spopolano nelle librerie progressiste americane i libricini biografici su Katherine Johnson (informatica dimenticata) e le storie sui diritti civili, per non parlare della serie pedagogica Ragazze ribelli – diventata un brand e un trend – così come sono diventati prassi i libri educativi, dal “come fare la nanna per non disturbare” fino a, da noi, i volumi illustrati sulla Resistenza e sulla mafia per arrivare alle elementari pronti per scrivere temi in stile Saviano o Massini. Quello che alcuni chiamano wokismo ha avuto il difetto nella letteratura per l’infanzia di sostituire l’immaginazione con la didattica moralista. E’ quindi un buon segno controcorrente la pubblicazione presso Adelphi dei libri di Ruth Krauss e Maurice Sendak che, a esser retorici, si direbbe che “stimolano la fantasia” e non si trasformano in brevi corsi di educazione civica. I titoli appena usciti sono Una casa per le farfalle, Un buco è per scavare e Io ero te e tu eri me (tradotti da Sergio Ruzzier). Quando esce il primo libro del duo – ne faranno otto insieme – Krauss è già un’importante autrice, mentre Sendak è ancora sconosciuto. Sarà Krauss a lanciare la sua carriera di illustratore nel 1952, che lo porterà poi a creare capolavori come Nel paese dei mostri selvaggi o La cucina della notte. Quando Krauss muore nel 1993, Sendak la onora con una copertina del New Yorker dove dei bimbi senzatetto usano tra le altre cose i suoi libri come rifugio, uno addirittura come cuscino, sorridente. “E’ un’autrice che sa cosa pensano i bambini”, diceva di lei.
I bambini dei libri di Krauss e Sendak immaginano, e soprattutto non sono guidati dalla retorica identitaria. Si può essere buoni senza essere woke. Immaginano cavalli, ballano con scimmie, si specchiano e si vedono come ruspe o come coniglietti. I bambini dei libri di Krauss e Sendak hanno amici immaginari, vanno a letto dopo l’orario prestabilito e si sporcano nel fango – “il fango è per saltare e scivolare e gridare popporoppoppoo”, “una faccia è per fare le facce”, “un pacco è per vedere cosa c’è dentro”, “un naso è per fare i ficcanaso”. E questa idea dei bambini naturalmente ribelli lancia un po’ una moda che verrà poi interrotta nell’ultimo decennio dall’idea del ribelle come benpensante, ma che per tutta la seconda metà del Novecento è lo standard. I bambini che il ventenne Sendak vede e disegna dalla sua finestra di Brooklyn diventano personaggi dell’immaginario americano, seduti sulle scalette delle brownstone e nei cortili dei bungalow tra Bensonhurst e Coney Island in quello che lui, in yiddish, definiva uno shtetl. Niente è cambiato nell’animo dei bambini. Forse giusto i passatempi obbligati, visto che qui, in queste storie degli anni Cinquanta, si è sempre all’aperto, in strada intorno a un idrante. Lo dicono sempre gli anziani, “ai miei tempi si stava fuori a giocare e non davanti agli schermi”. E quindi niente Peppa Pig da guardare mentre si mangia una pastina bio. Sendak ha sempre cercato, l’ha detto in varie interviste, di non perdere mai il bambino in sé. E i bimbi di questi libri corrono facendo smorfie e dicendo: “Guarda! Io scappo via con la mia fantasia!”.