“Io, Marchionne, Sinner e la Ferrari”. Intervista ad Antonio Giovinazzi

“Vincere a Le Mans mi ha fatto tornare l’amore per le corse. E ora ci riproviamo”. Parla il pilota delle hypercar Ferrari

Le sliding doors di Antonio Giovinazzi si sono aperte al momento giusto. Fuori dalla Formula 1, impegnato in un campionato di Formula E che non lo divertiva, gli è arrivata la proposta di Antonello Coletta che gli ha cambiato la vita: diventare uno dei sei piloti Ferrari per il progetto Le Mans. “Lo dico sempre: Antonello mi ha fatto tornare l’amore per questo sport. In Formula E e negli ultimi anni di Formula 1 l’avevo un po’ perso, perché ci vedevo troppa politica e troppe cose non mi piacevano. Il bambino che aveva sempre amato quel mondo, iniziava a perdere un po’ l’amore per questo sport. Antonello me lo ha restituito”. Il bambino Giovinazzi viene da lontano, da Martina Franca dove è nato nel dicembre del 1993. “Ero troppo piccolo per ricordare la prima volta che guidai un kart, ma ho un flash chiaro in testa: avevo meno di tre anni quando papà mi regalò il primo kart. Lo mise in moto in garage e io scappai per il rumore… Il giorno dopo però tornai lì con papà chiedendogli di metterlo in moto”. Non è più sceso. Quella passione lo ha tenuto lontano dal pallone che è il gioco di tutti i bambini. Lui correva in kart e al massimo andava in bici, l’altra sua grande passione. Da Martina Franca ha cominciato a girare l’Italia e poi l’Europa. Correre è diventato il suo lavoro: “Anche se è brutto chiamare lavoro una passione. Però ammetto che è sempre stato il mio obiettivo. Mamma ha voluto che mi diplomassi in ragioneria, l’ho accontentata, ma non ho mai pensato di fare il ragioniere da grande”.

Da grande la prima telefonata che gli ha cambiato la vita gli è arrivata da Sergio Marchionne, il primo a investire su di lui, a metterlo su un sedile di Formula 1 (l’Alfa Romeo Sauber): “Era il 2016, avevo appena vinto il Gran premio di Gp2 a Monza. Mi hanno chiamato a Maranello per provare il simulatore, c’erano Maurizio Arrivabene in F1 e Massimo Rivola che seguiva l’Academy. Dopo qualche mese Marchionne mi volle incontrare e lì è iniziato tutto. Lui ha creduto in me e mi ha aiutato”. Chissà come sarebbe andata la sua carriera in Formula 1 se Marchionne fosse ancora tra noi. Ogni tanto Antonio se lo chiede: “Nessuno lo può dire. Chissà. Magari sarebbe andata meglio, magari peggio. Oggi sono contentissimo di trovarmi qui e lo ringrazierò sempre per avermi fatto entrare nel mondo Ferrari. Era una persona dura che mi ha voluto e mi ha spinto”.

Sicuramente Marchionne non avrebbe permesso a Vasseur (allora in Sauber) di preferire Zhou ad Antonio, ma questa è un’altra storia. Perché grazie alle sue doti, il numero di Giovinazzi era finito nel telefono di un altro manager importante dell’area ferrarista, Antonello Coletta, oggi responsabile del progetto Le Mans oltre che delle corse clienti. “Ricordo che nel 2015 dopo esser arrivato secondo in Formula 3 vidi sparire da un giorno all’altro il contratto con Audi per il Dtm. Colpa del Dieselgate… Andai ai Caschi d’oro con il mio manager Enrico Zanarini e incontrai Coletta che mi disse: adesso per me è ancora troppo presto, però in futuro sono sicuro che ci rivedremo… poi quando firmai per la Formula 1 cominciammo a messaggiarci, mi faceva i complimenti dopo ogni risultato, mi incoraggiava, mi diceva di esser contento di avermi in famiglia Ferrari… Era lontano, ma me lo sono sempre sentito vicino”. E quando è nato il progetto Le Mans Antonio è salito sulla Hypercar numero 51 con Alessandro Pier Guidi e James Calado. Nel 2023 ha vinto la 24 ore più famosa del mondo, poi rivinta dalla Ferrari gemella di Antonio Fuoco & Co. l’anno successivo.

E oggi, alla vigilia di una nuova Le Mans (start sabato 21 giugno) è leader del Mondiale Wec, il campionato dove i piloti, tra gli sportivi più egoisti del mondo, scoprono che cosa significhi giocare di squadra. Il compagno di squadra che in tutte le categorie è il primo avversario, diventa l’alleato indispensabile. “Fin da quando cominciamo nei kart la prima persona che vogliamo battere è il compagno… condividere la macchina con altri due piloti è stata la cosa più difficile, quella in cui mi sono dovuto adattare di più. Condividi l’abitacolo, la postazione, il setup e alla fine le emozioni. Ho provato qualcosa di diverso, ma devo dire che mi piace anche perché sono sempre stato un uomo squadra”. Correre con la 499P Ferrari però ha significato soprattutto il ritorno alla vittoria: “La cosa più bella per un atleta, un pilota è saper di poter andare in campo o in pista per vincere. La Formula 1 è bellissima, la macchina la più veloce, bella da guidare. Ma a un certo punto hai bisogno di soddisfazioni, di vincere. È super importante per un atleta. E oggi con l’Hypercar guido una macchina vincente, una macchina che a ogni gara mi permette di lottare per la vittoria. Sarà così anche a Le Mans anche se vincere per la terza volta di fila per la Ferrari non sarà facile. Noi quest’anno puntiamo al campionato, lo abbiamo dichiarato, ma non andiamo a Le Mans solo per partecipare anche perché lì i punti valgono doppio”.

La 24 ore francese una gara che ti spreme: “Le Mans è una gara che ti distrugge, hai bisogno di tre o quattro giorni dopo la gara per riprenderti. Perché è molto di più delle 24 ore in cui stai in pista. La prima volta non avevo dormito perché volevo seguire tutto. Sono arrivato distrutto all’alba. Ora ho una mia routine. Dopo il mio turno di guida faccio una doccia, mangio, dormo un’ora e mezza, faccio un’altra doccia e riparto… Ho imparato a conservare le energie. Il momento più duro per me è l’alba con la luce che cambia…”. Chissà che a Le Mans non arrivi il suo amico Sinner, vicino di casa a Montecarlo, compagno di giochi e di allenamenti: “Ho conosciuto Jannik quando non era ancora Sinner se così si può dire. Nel 2018 quando venni a vivere a Monaco, volevo giocare a tennis e andai da Riccardo Piatti. Mi presentò quello che era il suo ragazzo migliore. Diventammo amici, abbiamo giocato anche a tennis solo che io che pure sono un pilota e i riflessi li ho, non riuscivo neppure a vedere il suo servizio. Così gli ho detto se vuoi giocare con me devi giocare con la mano sinistra. È fortissimo anche così. Ma non ci abbiamo più giocato. E sta diventando bravo anche con il simulatore, ha occhio, guida bene, anche se lì vinco io per ora… ma arriverà anche lì…”. Durante la pausa forzata di Jannik si sono divertiti in bici anche con Ale Pier Guidi e Giulio Ciccone che pedala per mestiere e ha corso il Giro d’Italia. La cosa triste è vederli a tavola: “Solo riso, pollo e avocado, insalata, patate dolci… lascerei parlare mia moglie Antonella sull’argomento anche se una sera è riuscita a fargli assaggiare le orecchiette… Però almeno abbiamo tutti le stesse esigenze e a tavola non dobbiamo soffrire a vedere chi mangia di tutto… Io la mia ultima pizza l’ho mangiata dopo aver vinto a Imola più di un mese fa. Non vedo l’ora di finire Le Mans perché poi per quattro giorni mi lascio andare…”. Una pizza, una birra, un tiramisù. Senza esagerare.

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