Il riverbero della grazia sulle linee d’ombra indagate da Cormac McCarthy

Dalla crisi del mondo tradizionale al rimpianto per il suo tramontare, fino alla tensione tra limite e trascendenza. Francesco Baucia e Federico Bellini confezionano un interessante saggio scavando nel pensiero e nell’opera di uno dei più eccelsi scrittori americani

Con Luci dall’abisso. Nel pensiero di Cormac McCarthy (Vita e Pensiero, 165 pp.), Francesco Baucia e Federico Bellini confezionano un interessante saggio, indugiando su una delle più entusiasmanti imprese letterarie contemporanee. Compianto cantore della Frontiera, annoverato tra i più eccelsi scrittori americani, McCarthy intreccia “i resti delle storie che segnano un luogo come cicatrici invisibili e indelebili insieme”; interrogando incessantemente “le linee d’ombra che separano passato e presente, vita e morte, bene e male”. Gli autori appuntano l’attenzione sui motivi ricorrenti nei suoi romanzi: l’abisso della libertà, il destino dell’uomo, l’esistenza di Dio e la possibilità di una vita autentica in un universo radicalmente ostile. Mettono a tema i topoi che ne innervano l’opera: la crisi del mondo tradizionale e il rimpianto per il suo tramontare; il mistero della natura e la ferocia annichilente del male; la tensione tra limite e trascendenza (dove risuonano echi gnostici); le opposizioni irrisolte tra cammino e radicamento, nascita e rovina.

Per un modello narrativo informato da parabole e testimoni, lussureggianti passaggi descrittivi degli ambienti naturali e profonde faglie sociali, monologhi vertiginosi e laconici dialoghi. Nel solco del canone occidentale. All’incrocio tra estetica, etica e filosofia. Sulla soglia dell’ineffabile. McCarthy affida “alla letteratura la ricerca di valori validi anche nell’abisso dell’insensato”, “ai personaggi più umili, alle vite più fragili, ai mondi più marginali” il compito di custodire nell’oscurità una scintilla di luce, di portare il fuoco.

Le sue “parabole filosofiche”, dal chiaro carattere allegorico, sono pronunciate da eremiti e vagabondi: depositari di una saggezza atavica e diseredati alla periferia della società. I suoi “testimoni” sono ciechi che vedono meglio degli altri e più a fondo nelle cose. La sua maestria narrativa vibra “nella rappresentazione dei paesaggi naturali e del mondo fisico”; incorona la descrizione a “dimensione preponderante della narrazione, evento integrato nella storia e principio estetico che si traduce in poetica”. Assicurando una salda coesione e coerenza di stile, temi e immagini. Annotano Baucia e Bellini: “Ambienta le storie in momenti critici, in cui un nuovo sistema sopravanza il precedente generando una frizione che riproduce a un livello più vasto il conflitto tra i personaggi.

Il sostituirsi del cemento alla pietra in The Stonemason, l’esproprio dei terreni e la fine del mondo dei cowboy nella Trilogia della Frontiera, la seconda generazione di lavoratori e imprenditori del mulino industriale in The Gardener’s Son, il ritorno in patria della violenza esportata in Vietnam in Non è un paese per vecchi, la modernizzazione del Messico che passa per lo sterminio degli indiani in Meridiano di sangue, la catastrofe apocalittica in La strada”. Sulla propria scrittura, chiosano, McCarthy è elusivo: non dice né nasconde, accenna. Mentre sulle pagine, sovente convoca il riverbero indefettibile della grazia. Perché, per citare un rovescio di frase infilato in Oltre il confine, “alla fine tutti saremo soltanto ciò che avremo capito di Dio” e “nulla sarà reale al di fuori della sua grazia”.

Di più su questi argomenti:

Leave a comment

Your email address will not be published.