Accusato di collusione con forze straniere, Joshua Wong finisce di nuovo sotto processo. Tra i “reati” contestati c’è anche il suo ultimo intervento al Senato italiano ospite della Fondazione Farefuturo del ministro Urso. Pechino e la repressione del dissenso. Il governo italiano si mobiliterà per un paladino delle libertà?
Ieri l’attivista per la democrazia e leader del movimento di Hong Kong, Joshua Wong, è stato portato per l’ennesima volta in un’aula di tribunale. Wong, che sta già scontando una pena a quasi cinque anni per “assemblea non autorizzata”, e cioè per aver violato la legge sulla sicurezza nazionale liberticida imposta nel luglio del 2020 da Pechino sull’ex colonia inglese, è stato accusato ieri dai procuratori di aver cospirato e di aver colluso con forze straniere. Secondo i documenti dell’accusa visionati dai giornalisti dell’Hong Kong Free Press, tra il 1° luglio e il 23 novembre del 2020 Wong, insieme con l’attivista in auto-esilio Nathan Law e “altri ignoti”, si sarebbe adoperato per chiedere ai governi di paesi stranieri, organizzazioni o individui con sede all’estero di imporre sanzioni o intraprendere “altre attività ostili” contro Hong Kong o la Cina. Wong e Law stavano facendo sensibilizzazione: erano il volto delle proteste pro democrazia, hanno dato tutto per quello, e prima che le autorità giudiziarie iniziassero la loro rappresaglia contro gli attivisti democratici, loro avevano fatto di tutto per essere ascoltati anche in occidente, e testimoniare così la repressione che Hong Kong stava subendo.
L’intervallo di tempo indicato dall’accusa indica che l’ultimo paese con cui Wong avrebbe “colluso”, secondo la drammatica manipolazione della realtà del sistema repressivo di Pechino, sarebbe di fatto l’Italia.
Joshua Wong ha parlato due volte in Italia. La prima volta era stata nel 2019, nel pieno delle proteste contro le leggi liberticide imposte a Hong Kong da Pechino e dopo le elezioni distrettuali che avevano visto la vittoria dei candidati pro democrazia. Wong era stato invitato a parlare al Senato dal Partito Radicale, dal Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella” e da Fratelli d’Italia, oggi al governo in Italia. L’attivista avrebbe dovuto essere in presenza, ma non era stato autorizzato a viaggiare dal tribunale e quindi si collegò da Hong Kong con la Sala Caduti di Nassirya del Senato. L’Italia era entrata da pochi mesi nella Via della Seta cinese, e la successiva nota dell’ambasciata cinese a Roma, che parlava di un “comportamento irresponsabile” da parte dei politici italiani presenti all’evento, era stata condannata da tutti, perfino da chi l’ingresso nella Via della Seta l’aveva firmato, ovvero Luigi Di Maio. Esattamente un anno dopo, Joshua Wong era stato invitato a parlare di libertà e democrazia dalla Fondazione Farefuturo, presieduta dall’allora presidente del Copasir e senatore di Fratelli d’Italia Adolfo Urso, oggi ministro del Made in Italy del governo guidato da Giorgia Meloni. L’intervento, tenuto sempre via Skype, si era svolto di nuovo nella sala del Senato. Era il 18 novembre 2020, e solo cinque giorni dopo Joshua Wong sarebbe stato arrestato di nuovo. Più di quattro anni dopo, l’accusa chiede di condannarlo ancora, per aver parlato di libertà e democrazia, anche in Italia. “Hong Kong oggi è come Berlino negli anni Sessanta, è lì che si gioca il futuro delle libertà del mondo”, aveva detto Urso in un appello subito dopo il fermo. Contattato dal Foglio, il ministro oggi preferisce non commentare, vista la delicatezza della situazione e il suo ruolo di governo diverso da quello di parlamentare. Il senatore Giulio Terzi, che ha spesso invitato dissidenti cinesi in Parlamento, ha condannato in una nota “la campagna di continua disinformazione e di sovvertimento dei fondamentali princìpi di democrazia e di stato di diritto, di cui Joshua Wong è da molti anni un simbolo esemplare”.
Il caso Wong è un allarme anche per altri dissidenti, e non solo di Hong Kong. Con la legge sulla sicurezza e le accuse di “collusione con forze straniere”, che permette di perseguire chiunque abbia partecipato a eventi politici fuori dai confini nazionali, Pechino non solo riafferma ancora una volta la tolleranza zero al dissenso e all’apertura democratica, ma sta dando l’esempio a molti altri governi autoritari nel mondo. Il caso italiano è ancora più emblematico: se il Parlamento non farà nulla per rivendicare la decisione di aver ospitato due volte Joshua Wong, chi altri avrà il coraggio di testimoniare la propria storia nel luogo delle istituzioni democratiche italiane?