“Perché essere solo un attore?”. Jean Reno ci racconta “Emma”, il suo romanzo

“Durante il Covid mi sono chiesto se potessi fare altro. Un giornalista può essere anche un grande pescatore, un ingegnere può essere un grande esploratore. Perché essere solo una cosa?”. Il nuovo thriller scritto dalla star francese, pronta a diventare anche una serie tv

Molte figure del cinema a un certo punto decidono di dedicarsi a un memoir. Jean Reno, star francese che ogni tanto presta il suo ruolo di languido though guy a Hollywood, ha invece scelto di scrivere un romanzo, Emma uscito in Italia per Longanesi (traduzione di A. Bariffi). Perché un romanzo? “Perché no?”, dice al Foglio. “E’ una storia che avevo in testa da tempo. E durante il Covid ho capito che non ero solo quello che facevo. Mi sono chiesto se potessi fare altro, essere altro. Un giornalista può essere anche un grande pescatore, un ingegnere può essere un grande esploratore. Perché essere solo una cosa? Certo, adoro fare l’attore, un mestiere che puoi fare fino alla fine della vita. Ma in pandemia mi sono fatto delle domande pesanti e ne è uscito fuori questo. Bisogna osare”. Emma è la storia di una ragazza bionda – “mi sono ispirato a Martine Carol”, attrice bionda degli anni 50, ci dice Reno – una ragazza che non ha mai viaggiato, vive in Francia e fa la massaggiatrice.

Di colpo si ritrova a fare una vita molto più movimentata, in Oman, trascinata suo malgrado in una storia di spionaggio. Perché una donna protagonista? “Conosco meno le donne e quindi fantastico di più su personaggi che conosco meno. Gli uomini non mi fanno sognare, fantasticare, allo stesso modo”. La scelta dell’Oman, invece, è data dal suo essere un paese misterioso. “Anche se non sono mai stato in Egitto posso immaginarlo, ho la sensazione di conoscerlo. Le piramidi, il Nilo, Francois Mitterrand che ci andava per Capodanno con la sua seconda famiglia segreta… In Oman invece, dove poi sono andato, non sapevo cos’avrei trovato”. La protagonista del thriller – “che è anche una storia d’amore” – si sente responsabile per la morte della madre. Reno dice che non è un tema autobiografico, anche se la sua vita è cambiata molto quando sua madre è morta per un cancro alle ossa, quando lui aveva 17 anni. “E’ una ferita aperta che rimane in te, e che ho ritrovato anche in altre persone. Ad esempio, nel mio amico Johnny Hallyday, abbandonato dalla madre quand’era bambino”. Emma diventerà una serie tv, ci racconta l’attore, ma lui è slegato dal progetto. Però, dice scherzando e ridendo, “con i tempi che corrono” potrebbe interpretare lui, 76enne, la ragazza protagonista. “Per il padre sarebbe perfetto Depardieu, uno che lavora ai servizi tecnici del comune e non pensa ad altro che a mangiare”. E si finisce a parlare di cinema, anche se quando ha fatto i firmacopie nelle librerie è rimasto un po’ scocciato dal fatto che la gente si sia portata i dvd di Leòn da firmare invece del romanzo.


“Io sognavo così tanto di partire”, ci dice. “Quando avevo 12 anni volevo andare a tutti i costi a Parigi”, lui nato a Casablanca da genitori spagnoli fuggiti dal franchismo. “Perché a Parigi c’era Louis Jouvet, c’era Vittorio Gassman. C’era tutto il cinema. Mi sembra che la gente oggi abbia pura a partire. L’avventura più grande è la vita. La gente vive nella noia, nell’oscurità, dice: forse, magari, un giorno partirò”.

E si finisce a parlare di Cinecittà. “Benigni! Un angelo”, dice. Avevano lavorato insieme in La tigre e la neve. “Gli controllavo i piedi perché mi sembrava che fluttuasse da come si muoveva”. E poi Antonioni. Nel suo ultimo film, Al di là delle nuvole, un Reno baffuto e sexy si divide uno degli episodi con Fanny Ardant. “Antonioni, che uomo affascinante. Aveva già avuto un ictus e parlava con la bocca tutta storta, solo sua moglie lo capiva e faceva da traduttrice. Io lo prendevo in giro e lo mimavo. Wim Wenders mi diceva di non farlo e io gli rispondevo: ma non vedi che ride! Si divertiva un sacco”. Ora Reno sta lavorando a una pièce teatrale che andrà in scena a Tokyo l’anno prossimo. “Si chiama Il cammello, e parla di me, ed è un modo per dire alla gente: dovete sognare! E’ un po’ pretenzioso, ma c’est pas grave”.

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