Pechino detta il tono, e Trump si adegua

C’è stata la prima telefonata ufficiale tra il presidente americano e Xi Jinping: un’ora e mezza di colloquio. Per ora si riparte solo da zero con i negoziati commerciali. La Casa Bianca cambia idea sugli studenti cinesi. La confusione continua

Il primo dettaglio che non sarà piaciuto al presidente americano Donald Trump è che ad annunciare la tanto attesa telefonata fra lui e il leader cinese Xi Jinping sia stata l’agenzia di stampa statale di Pechino, la Xinhua. Niente fughe in avanti via social, nessun dettaglio da spaccone: Trump con la leadership cinese è costretto ad abbassare i toni. Lo si capisce anche dal pacato messaggio scritto su Truth, in cui ha ufficializzato la telefonata, con alcuni dettagli che sembrano essere scritti soprattutto per rassicurare la parte cinese. La conversazione fra i due leader è durata circa un’ora e mezza (compreso il tempo degli interpreti: non è una durata sensazionale) “e si è conclusa in modo molto positivo per entrambi i paesi”.

Nel comunicato ufficiale di Pechino si legge che la telefonata è stata voluta da Trump, e che per “per correggere la rotta delle relazioni sino-americane” bisogna “eliminare ogni tipo di interferenza e persino di sabotaggio”. Il presidente americano ieri sera ha annunciato nuovi colloqui diretti con la Cina e ha perfino elencato i nomi di chi rappresenterà l’America – “saremo rappresentati dal segretario al Tesoro Scott Bessent, dal segretario al Commercio Howard Lutnick e dal rappresentante per il Commercio, l’Ambasciatore Jamieson Greer”. Sin dal 2 aprile scorso, cioè dall’inizio della guerra commerciale dell’America contro tutti, anche contro i suoi alleati, da Pechino continuavano ad arrivare voci di una incapacità cinese di seguire il flusso umorale della Casa Bianca, senza avere negoziatori americani in grado di prendere decisioni. Un leader come Vladimir Putin sa sfruttare quella confusione, per il rigido protocollo decisionale cinese è ben più complicato.

E Trump si sta adattando: ha scritto in modo molto chiaro che i due leader – nella prima telefonata di cui abbiamo conferma ufficiale sin dall’insediamento del presidente americano – hanno parlato solo di commercio, “non si è parlato di Russia/Ucraina o dell’Iran”. Nel comunicato cinese, però, come sempre succede, c’è un avvertimento particolarmente severo sulla “questione Taiwan”: Xi avrebbe detto a Trump di maneggiare il tema con cautela, “per evitare che un numero estremamente esiguo di elementi separatisti trascini la Cina e gli Stati Uniti in una pericolosa situazione di conflitto e scontro”. Dopo la telefonata, Trump ha annunciato che gli studenti cinesi potranno tornare in America “senza problemi”, definendoli “un onore per il paese” e contraddicendo il divieto di visto agli universitari provenienti dalla Cina annunciato dal segretario di stato americano Marco Rubio solo una settimana fa. Le premesse erano difficili. Ieri, quando negli Stati Uniti erano da poco passate le due del mattino, il presidente americano aveva scritto, sempre sul suo social network, che Xi è un leader “molto duro, e uno estremamente difficile con cui trattare”: qualcuno aveva pensato che l’attesa telefonata sarebbe saltata anche stavolta.

Anche perché la prima vera conversazione fra i due leader, con reciproci inviti nelle rispettive capitali, arriva qualche giorno dopo le accuse di Trump contro la Cina, responsabile, secondo lui, di aver violato l’accordo sui dazi che avevano raggiunto a Ginevra, durante il primo round di negoziati per arrivare a una tregua commerciale (“La Cina, forse non sorprendentemente per alcuni, HA TOTALMENTE VIOLATO IL SUO ACCORDO CON GLI STATI UNITI”, aveva scritto su Truth). L’accordo America-Cina di Ginevra era subordinato alla riapertura, da parte di Pechino, dell’export di alcune terre rare su cui aveva imposto un sostanziale embargo verso gli Stati Uniti. Solo che per la parte cinese la volontà di rispettare gli impegni in materia di terre rare sarebbe venuta meno “dopo che il 12 maggio il dipartimento del Commercio americano ha emesso un avvertimento contro l’uso dei chip di intelligenza artificiale Ascend di Huawei Technologies”, ha scritto il Wall Street Journal. Di conseguenza, la Casa Bianca ha deciso di limitare l’esportazione di alcune tecnologie aerospaziali, anche quelle che servono a Pechino, per esempio, per costruire il suo aereo che dovrebbe far concorrenza a Boeing, il Comac C919.

Chiariti i dubbi sulle responsabilità, senza molti dettagli pubblici, resta la vera funzione della telefonata di ieri, e cioè quella di ripartire da zero con i negoziati. Di nuovo. “Il modo in cui i cinesi lavorano è questo: se il presidente americano parla con Xi Jinping, concorderanno i princìpi generali”, ha detto ieri in una lunga intervista a Politico Nicholas Burns, che è stato per tre anni l’ambasciatore dell’ex presidente Joe Biden in Cina. La priorità cinese adesso, secondo Burns, è quella di cercare di risolvere la guerra dei dazi facendo in modo che il vicepremier He Lifeng “si sieda di nuovo con il segretario al Tesoro Scott Bessent”. Obiettivo raggiunto, ma “ci saranno mesi di negoziati”. “Abbiamo avuto un’ottima conversazione e abbiamo chiarito ogni dubbio”, ha detto Trump ieri, davanti al cancelliere tedesco Merz. La vittoria per ora è tutta nel campo cinese.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: “Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l’Asia”, “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.

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