Il Pd si prende a schiaffi da solo come ai bei tempi dei processi di Mao, ma lo fa con molta serenità. La segretaria spiega i veri motivi che l’hanno spinta a sostenere i quesiti della Cgil
Il Pd contro il suo Jobs Act? Niente di grave. Non è certo l’ultimo colpo a quel che resta del riformismo. Non ha nulla a che vedere con l’ipotesi di non ricandidare gente come Eugenio Giani in Toscana, o di spedire i pezzi grossi dell’opposizione interna a Bruxelles con biglietto di sola andata. Al massimo è una leggera forma di ristrutturazione del passato. Ecco. Tipo buttare giù un paio di muri portanti e rifare le fondamenta, ma senza rancore nei confronti di quei dirigenti, elettori e militanti del partito che ancora non si sono convertiti, auto esiliati o non sono stati messi in prepensionamento ideologico.
Intervistata ieri da Simone Spetia a 24 Mattino, su Radio 24, la segretaria del Pd Elly Schlein lo ha detto chiaramente, limpida come solo lei sa esserlo: “I referendum sul Jobs Act non sono un regolamento di conti”. Ecco. Ella, anzi Elly, cioè Schlein, ci tiene a farlo sapere. E ha ragione lei. Qui non si tratta di fare piazza pulita, di cancellare, di eliminare per sempre la fase governista, modernista, blairiana e renziana del Pd. No. Quella è un’interpretazione maliziosa della destra. Anzi, fascista, ha lasciato intendere Schlein (dunque attenzione: se pensate che il Pd voglia regolare i conti con se stesso, siete già a un passo da Predappio). E infatti, Schlein, cui la consequenzialità logica non fa mai difetto, ha subito spiegato in questo modo le vere ragioni che l’hanno spinta a sostenere i referendum della Cgil per i quali si voterà il prossimo fine settimana. “Bisogna fare autocritica”, ha detto. Chiaro. E poi: “Dobbiamo riparare alle scelte sbagliate del centrosinistra”. Chiaro anche questo. Insomma non è un regolamento di conti, mi raccomando. E’ autocritica. Un Pd che si prende a schiaffi da solo come ai bei tempi dei processi di Mao, ma lo fa con molta serenità. E con il sorriso sulle labbra.