Khamenei boccia la proposta americana, ma intanto si prepara il sesto round di negoziati con Witkoff. “Israele cane pazzo”
Dopo cinque round di negoziati e un sesto in preparazione, la Guida suprema Ali Khamenei ha detto: “La proposta americana sul nucleare è contraria al 100 per cento al principio del nostro potere”. Il discorso doveva essere minaccioso e potente, lo richiedeva l’occasione – ieri era il trentaseiesimo anniversario della morte di Khomeini – e Khamenei ha attaccato il nemico americano: “I leader americani maleducati e arroganti ci chiedono ripetutamente di non avere un programma nucleare. Chi siete voi per dire a Teheran se avere un programma nucleare oppure no? Non abbandoneremo il lavoro dell’arricchimento”. Doveva essere un discorso per proiettare l’immagine di potenza di un regime impoverito, per coprire la realtà del negoziato con gli americani: Teheran negozia perché ha bisogno che le sanzioni vengano revocate, se l’economia peggiora, la vita del regime si accorcia. Gli Stati Uniti hanno presentato al ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi la bozza per un accordo sul progetto nucleare di Teheran.
Secondo il sito di notizie Axios la proposta consentirebbe a Teheran di mantenere un arricchimento al 3 per cento per uso civile. Secondo la bozza, tutti gli impianti sotterranei, come Natanz e Fordo, dovranno diventare inattivi e la Repubblica islamica dovrà essere aperta per controlli “rigorosi” da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. La revoca delle sanzioni è legata alla dimostrazione di “un impegno reale”. Trump aveva smentito la versione di Axios ma ieri al telefono con Vladimir Putin ha detto che l’Iran non deve avere “un’arma nucleare”, non ha parlato di nucleare civile e ha aperto alla possibilità che il presidente russo partecipi alla discussione con Teheran. Qualche ora prima, Khamenei aveva chiuso definitivamente la porta a ogni proposta americana, ma il discorso roboante rientra nelle tattiche negoziali iraniane. Il negoziato dell’Iran va avanti con un gioco delle parti preciso: il ministro degli Esteri Araghchi, negoziatore di professione, mostra aperture e chiusure a fasi alterne a seconda dei colloqui in cui la sua controparte è l’inviato speciale americano Steve Witkoff, il tuttofare della diplomazia trumpiana. L’altro protagonista è il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, a cui tocca il ruolo del moderato. Khamenei invece è la linea dura, non sempre quello che dice rappresenta una vera chiusura, si assume il ruolo di alzare la tensione, di mostrare quanto la Repubblica islamica è solida, ma il solo fatto che si sia convinto a entrare nei negoziati è il segnale che ha bisogno di salvare il regime fiaccato dalle sanzioni, dagli attacchi israeliani e dalle sconfitte in Siria e in Libano.
In questi giorni Araghchi era in Libano, ha incontrato diversi membri del gruppo sciita Hezbollah, incluso il leader Naim Qassem. E’ andato a porre una corona di fiori sulla lapide di Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah più longevo e di successo, eliminato da Israele con un bombardamento mirato a Beirut lo scorso anno. La guerra di Tsahal contro il gruppo libanese e la cacciata del regime di Bashar el Assad in Siria hanno privato l’Iran di due punti importanti del cerchio di fuoco costruito attorno allo stato ebraico ma Teheran non ha rinunciato a ricostruire il suo sistema. In Libano la missione di Araghchi è di ristabilire il suo controllo. Il ministro degli Esteri ha incontrato il suo omologo libanese e il presidente Aoun e ha detto che Teheran è pronta a partecipare alla ricostruzione del Libano nelle aree più colpite dalla guerra tra Israele e Hezbollah, che sono soprattutto le zone abitate dagli sciiti, in cui il gruppo finanziato e armato dall’Iran ha esercitato il suo controllo. L’Iran mantiene i suoi piani intatti e la politica nucleare è parte centrale della strategia contro Israele.
Lo stato ebraico è molto diffidente nei confronti della politica negoziale degli Stati Uniti con l’Iran. I funzionari israeliani credono che Witkoff non sia abbastanza preparato per negoziare con gli iraniani, non conosce le regole dei colloqui in medio oriente e usa tattiche sbagliate. Secondo Oded Ailam, ex capo della divisione Controterrorismo del Mossad, la consapevolezza che gli americani non siano preparati mette gli iraniani a loro agio: “Araghchi ha esperienza, ha negoziato un accordo favorevole per Teheran già nel 2015. Witkoff è un bravo imprenditore, ma non sa chi sono gli iraniani quando negoziano. Gli Stati Uniti dovrebbero tenere a mente una cosa: gli iraniani non hanno mai vinto una guerra ma non hanno mai perso un negoziato”. Per Israele un buon accordo dovrebbe includere non soltanto lo smantellamento del programma nucleare nella sua interezza, ma anche la distruzione del programma missilistico e la fine della politica del sedicente Asse della resistenza. “Gli iraniani hanno circa trecento chili di uranio arricchito al 60 per cento, basta poco per ottenere quattro o cinque bombe nucleari. Un buon accordo si deve occupare di chiarire cosa deve fare Teheran con questo uranio”, dice Ailam. Israele è escluso dai negoziati, il suo obiettivo ora è fare pressione il più possibile sugli Stati Uniti. C’è un grosso errore che gli Stati Uniti stanno compiendo con l’Iran e Ailam lo spiega con una frase che originariamente è stata pronunciata dell’ex ministro della Difesa israeliano Moshe Dayan e poi venne rivisitata e reinterpretata più volte: “Israele è il cane pazzo del medio oriente pronto a mordere l’Iran. Nella mia esperienza nel Mossad ho imparato che nulla spaventa l’Iran come l’imprevedibilità di Israele. Gli americani dovrebbero presentarsi al tavolo con Araghchi e dire: accetta le nostre condizioni, ti conviene perché non sappiamo come reagirà il cane pazzo, è incontrollabile. Invece, cosa stanno dicendo Witkoff e Trump? Tranquilli, Israele lo controlliamo noi, sappiamo come contenerlo”.