Dati e futuro. Cosa non torna quando si parla di reclutamento

Il nuovo disegno di legge sul reclutamento universitario supera l’abilitazione scientifica nazionale e riporta la selezione ai singoli atenei con regole nazionali condivise. L’obiettivo è rendere il sistema più sostenibile, meritocratico e coerente

Il sistema universitario italiano ha subito trasformazioni profonde dall’epoca della riforma Gelmini a seguito di mutati scenari internazionali, nuove sfide tecnologiche e organizzative, una forte spinta alla terza missione, il calo demografico. Approvata nel 2010, la riforma Gelmini ha rappresentato un cambio di passo per il sistema universitario, introducendo elementi di profonda innovazione e modernizzazione, che hanno consentito ai nostri atenei di competere a livello internazionale nell’attrazione dei talenti. Tuttavia, come tutte le riforme, a quindici anni dalla sua approvazione e alla luce degli effetti che essa ha prodotto, è ora necessaria una riflessione. Tra gli aspetti più innovativi, ma anche più discussi, della riforma Gelmini vi era il sistema di reclutamento universitario, articolato in due fasi: un primo filtro riguardava la valutazione della idoneità scientifica attraverso l’Abilitazione scientifica nazionale (ASN), con l’obiettivo di certificare i requisiti di base dei docenti per poter accedere ai concorsi, e una successiva fase, quella dei concorsi, svolta a livello locale dai singoli atenei.



Un meccanismo positivo perché volto a fissare una soglia di accesso uniforme a livello nazionale, ma che nel corso degli anni è diventato insostenibile. Il numero degli abilitati ha continuato ad aumentare, creando una platea crescente di candidati con un’aspettativa legittima, ma spesso irrealizzabile, di essere chiamati dalle università. Fenomeno accentuato dal progressivo allungamento dei tempi di validità dell’abilitazione, la cui durata è passata – a seguito di numerose proroghe – dagli iniziali 4 anni ai 12 attuali. Inutile dire come queste aspettative abbiano determinato una pressione sulle università a bandire concorsi, ma sono state difficili da soddisfare in un contesto complesso, caratterizzato da un costante calo demografico, che si ripercuote sul numero di studenti che ogni anno si immatricolano. Da queste considerazioni è partita la Commissione di esperti istituita dal Ministro Bernini, che ha lavorato a un disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri e ora inviato al Parlamento per l’avvio dell’iter legislativo. La strada scelta – non un decreto legge ma un provvedimento legislativo ordinario – è un chiaro segnale di apertura al confronto, necessario considerato il cambio di paradigma che il provvedimento determina nel sistema di accesso alla docenza universitaria. Un segno di un’intenzione riformatrice meditata, e al tempo stesso, di una volontà di coinvolgimento nel dibattito del mondo universitario e di tutti i suoi stakeholder.



Nell’abolire l’Asn, il disegno di legge innova completamente il meccanismo di reclutamento, che sarà basato su un’unica fase, quella del concorso a livello di singolo ateneo, nell’ambito del quale verrà valutata sia l’idoneità del candidato che l’afferenza rispetto ai requisiti previsti dal bando. L’uniformità dei criteri di reclutamento sarà garantita dalla regia del Ministero dell’Università e della Ricerca. Positivo che tra i criteri si consideri – oltre ai risultati scientifici dei candidati – la loro capacità didattica e il contributo alla terza missione, aspetti invece trascurati dall’Asn, unicamente focalizzata sulla ricerca. Bene anche che si utilizzi la leva finanziaria, ovvero la premialità nella ripartizione del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) a favore degli atenei che scelgano i docenti migliori. In questo passaggio si colloca il nuovo equilibrio: il Mur si riappropria di una funzione di regia sul reclutamento, definendo criteri nazionali per garantire l’omogeneità delle procedure, lasciando in capo alle Università l’onere della scelta, nel rispetto dell’autonomia stabilita dall’articolo 33 della Costituzione. Un punto nevralgico, considerato che uno dei fattori che più ha alimentato il contenzioso negli ultimi anni è stata proprio la difformità tra atenei.



In definitiva, il provvedimento punta a restituire coerenza e sostenibilità al sistema, riconoscendo alle università una autonomia responsabile, ma con un Mur più centrale nella definizione delle regole. Sicuramente diversi sono gli aspetti che richiederanno una approfondita meditazione e un confronto accurato. In questo senso, il dibattito parlamentare sarà il banco di prova per trasformare l’intento riformatore in una normativa condivisa, efficace e – si spera – duratura.

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