Le misure sono passate dal 25 al 50 per cento per “garantire che le importazioni non mettano a repentaglio la sicurezza nazionale”, ma per il momento non si estenderebbero al Regno Unito
Nella mezzanotte americana (le 06:00 in Italia) sono entrati in vigore i nuovi dazi imposti dall’amministrazione Trump sulle importazioni di alluminio e acciaio dall’estero, che passano dal 25 al 50 per cento. La decisione, inoltre, arriva poche ore prima l’incontro tra i negoziatori Usa ed europei in calendario oggi a Parigi, ma questo aumento è stato annunciato dal presidente lo scorso venerdì 30 maggio durante un discorso presso uno stabilimento della US Steel a West Mifflin, in Pennsylvania. Per poi confermarlo in un ordine esecutivo firmato ieri, giustificando l’inasprimento della misura con la volontà di “garantire che (le importazioni) non mettano a repentaglio la sicurezza nazionale”. Sebbene i dazi imposti finora abbiano fornito un “sostegno essenziale ai prezzi nel mercato statunitense – si legge nel documento – non hanno permesso a queste industrie di sviluppare e mantenere un tasso di utilizzo della capacità produttiva sufficiente per la loro sostenibilità e alla luce delle esigenze di difesa nazionale”.
Già durante il suo primo mandato, Donald Trump ha imposto dazi del 25 per cento sull’acciaio e del 10 per cento sull’alluminio. Successivamente, l’ex presidente Joe Biden ha stipulato diversi accordi con Giappone, Regno Unito e Unione europea per attenuare l’impatto di tali misure, ma con il rientro del tycoon alla Casa Bianca tutto è ritornato al punto di partenza.
La decisione di Washington pesa sui principali fornitori di acciaio e alluminio negli Usa, Canada e Messico in particolare. Ma, ha osservato la Bbc, l’incremento non avrebbe toccato le importazioni provenienti dal Regno Unito, su cui continua ad essere applicato il dazio originario del 25 per cento. Il quale – in forza dell’accordo annunciato a maggio tra Trump e il primo ministro Starmer, ancora non in vigore – dovrebbe addirittura essere eliminato.
La battaglia commerciale si arricchisce di un nuovo pesante capitolo, e per l’economia americana rischia di essere un guaio. Secondo l’ultimo Economic Outlook dell’Ocse, negli Stati Uniti la crescita del Pil passerà dal 2,8 per cento al 1,6 per cento nel 2025 e 1,5 per cento nel 2026, con un impatto significativo sull’intera crescita economica globale, destinata a rallentare significativamente, passando dal 3,3 per cento nel 2024 al 2,9 per cento sia nel 2025 che nel 2026. “Le prospettive economiche globali stanno peggiorando – si legge nel rapporto – a causa delle elevate barriere commerciali, delle condizioni finanziarie più restrittive, del calo della fiducia e dell’accresciuta incertezza politica”.
Allo scontro commerciale si accompagna quello in tribunale. La scorsa settimana, un corte d’appello di Washington ha bloccato la sentenza della US Court of International Trade, che dichiarava illegittimi i dazi di Trump, ordinandone la rimozione entro dieci giorni. La vicenda giudiziaria non tocca le misure imposte sull’acciaio, l’alluminio e le auto, ma rappresenta comunque un ostacolo legale significativo per l’inquilino della Casa Bianca. La sospensione sarà attiva “fino a nuovo avviso mentre queste corte esamina i documenti delle istanze”, hanno detto i giudici a cui si è appellato Trump: entro domani, il gruppo di imprese e i procuratori generali che avevano separatamente contestato i dazi dovranno presentare le proprie prove, mentre per l’Amministrazione Trump il termine ultimo è previsto per il 9 giugno.