Lo scrittore ultraconservatore si dice “scioccato fino nel profondo” da quel che ha visto e sentito viaggiando nell’America rurale. Il woke di sinistra non se la passa bene, ma “ora sto assistendo, e in un tempo molto breve, alla profonda penetrazione del totalitarismo di destra, espresso perlopiù come antisemitismo”
Roma. “Pensi che il fenomeno woke sia finito, ora che il presidente Trump è al potere?”. E’ la domanda che Rod Dreher si è sentito rivolgere a Nashville, in Tennessee, mentre presentava il documentario “Live Not by Lies”, basato sul suo omonimo libro del 2020. Dreher, che è un esponente di punta del conservatorismo americano, cristiano convertitosi all’ortodossia – in Italia è divenuto celebre qualche anno fa per il suo libro L’opzione Benedetto. Una strategia per i cristiani in un mondo post-cristiano, che ottenne anche il plauso dell’allora Papa emerito Benedetto XVI – ha scelto da tempo di risiedere nell’Ungheria di Viktor Orbán, perché affascinato dal modo in cui gli ex paesi sottoposti al totalitarismo sovietico si stavano – ha scritto lui – creando un nuovo futuro. La risposta alla domanda postagli, dunque, apparirebbe scontata e nel saggio che ha scritto per Free Press di Bari Weiss, lo conferma: “Credo che volessero dicessi che ora andrà tutto bene”. Invece, no: “Non potevo dirlo”. Dreher si dice “scioccato fino nel profondo” da quel che ha visto e sentito viaggiando nell’America rurale, quella vera lontana dalle copertine dei periodici e dalle mete predilette dai turisti occidentali: lo stato di New York, così diverso dal cuore di Manhattan. L’Alabama, il Tennessee, la Louisiana. Il woke di sinistra non se la passa bene, è vero, ma “ora sto assistendo, e in un tempo molto breve, alla profonda penetrazione del totalitarismo di destra, espresso perlopiù come antisemitismo, soprattutto in una sempre più numerosa fascia di maschi di destra”. E – nota Dreher – “questa comunità non mi è estranea o lontana. E’ il mio mondo”. Lo scrittore che della battaglia al woke ha fatto quasi un dogma di fede e un impegno di vita, è categorico: “Non voglio vivere in un mondo totalitario di destra più di quanto voglia vivere in uno di sinistra. Anche se il wokismo è in declino, gli indicatori su una società pronta al totalitarismo sono ancora molto presenti. Per questo sento il bisogno di lanciare l’allarme”. Dreher non dà spazio a sensazioni, ma porta esempi concreti: “Un professore in un’università del sud, frequentata per lo più da studenti conservatori, mi ha detto di essere sconvolto dal numero di giovani studenti cristiani bianchi e ‘normali’ che sono antisemiti. ‘Rimango scioccato per quanti miei studenti sono coinvolti in questa roba. La prendono tutta da internet”. E’ un mutamento profondo, perché l’antisemitismo non ha mai fatto parte del mondo evangelico conservatore. Dice il docente che “il sostegno a Israele era un nostro tratto culturale distintivo”. E via con altri esempi del genere, sempre la stessa storia: giovani maschi bianchi che si radicalizzano in un odio verso gli ebrei e verso Israele.
Radicalizzazione dovuta ai podcast, a quello che sentono dire da “santoni” che li catechizzano sui mali della società e del tempo in cui vivono. Tanti giovani – scrive Dreher – sono cresciuti in una cultura che ha detto loro di essere la causa della gran parte dei mali del mondo, semplicemente per via della loro identità. Il radicalismo di destra, incluso l’antisemitismo, dà voce alla loro rabbia e al loro trauma, legittimandone il risentimento. “Se quasi tutto nella tua cultura ti dice che sei una merda non per ciò che credi o fai, ma solo per ciò che sei, allora è facile capire perché inizierai ad ascoltare e a fidarti di chi denuncia questa balla come una balla. Ma – e questo è il punto – in una cultura che valorizza l’identità, le emozioni e la trasgressione, è altrettanto facile essere sedotti da attori malintenzionati che strumentalizzano il tuo senso di rabbia”, dice una trentenne bianca newyorchese che – sottolinea Dreher – “sta cercando di deradicalizzare suo fratello”. Questi podcaster, agitatori moderni che non di rado si presentano come composti signori di mezz’età, fanno proseliti, dagli Appalachi alle Montagne Rocciose. Spesso sono docenti, cultori del “nazionalismo cristiano” che punta a una purezza etnica e religiosa dell’America. Si danno da fare in rete, sui social network, con le tecnologie che catturano l’attenzione delle nuove generazioni. Quel che è peggio, secondo lo scrittore conservatore, è che il tutto viene banalizzato: quelle frasi antisemite sono uno scherzo, in realtà è tutto un malinteso, si sta esagerando una sciocchezza, e via così. Scrive Dreher: “Il pensiero totalitario è malvagio a prescindere dalla sua base ideologica. Anche se la versione di sinistra ha perso parte del suo slancio nell’èra post Biden, le condizioni che hanno portato alla nascita del wokismo sono ancora presenti – e le persone di destra (soprattutto i giovani) sono altrettanto suscettibili al canto delle sirene della certezza ideologica e alla tentazione di schiacciare chiunque si metta sulla loro strada”. Amara la conseguenza: “E’ così che i movimenti totalitari s’incendiano”. In questo momento, “troppi di noi, a destra, si rifiutano di denunciare l’antisemitismo all’interno del nostro stesso campo, per il piacere di vedere coloro che hanno ingiustamente escluso gli altri assaggiare la loro stessa medicina”.
Alla fine del quadro, più fosco che mai, ecco la risposta alla domanda postagli a Nashville: “Ho detto al mio interlocutore che il fenomeno woke non aveva, in realtà, raggiunto il suo apice, ma rimaneva profondamente radicato all’interno delle istituzioni americane. E in più, gli ho detto, si è spostato a destra. Le condizioni che permisero a entrambe le forme di totalitarismo di trionfare in Germania e in Russia sono ancora tutte presenti”.