Il piano sull’immigrazione, l’ultimatum e la caduta nei sondaggi. Perché il leader nazionalista olandese lascia il governo
Bruxelles. Nei Paesi Bassi il leader di estrema destra, Geert Wilders, ha deciso di staccare la spina al governo di cui era il principale azionista, aprendo le porte a possibili elezioni che potrebbero essere vinte dalla coalizione tra laburisti e verdi guidata da Frans Timmermans. La ragione? Ufficialmente il rifiuto degli alleati di coalizione di Wilders di firmare nuovi impegni per un’ulteriore stretta migratoria, oltre a quella già concordata nel programma di governo. In realtà è la caduta nei sondaggi del suo Pvv, il Partito per la Libertà, che dopo aver vinto le elezioni del novembre del 2023 e 11 mesi di governo, ha visto evaporare il suo consenso.
La scommessa di Wilders è azzardata. I migranti continuano a rappresentare carburante elettorale. Ma altre crisi incombono, il trumpismo fa paura e l’elettorato olandese è diventato sempre più volatile. Come ha imparato lo stesso Wilders in passato – o l’ex leader del partito Nuovo contratto sociale, Pieter Omtzigt, l’altro vincitore delle elezioni del 2023 che si è ritirato dalla politica – basta un errore tattico per precipitare a cifre vicine allo zero. La mossa di Wilders, semmai, dimostra agli elettori olandesi che l’estrema destra non è pronta a governare in una coalizione, accettando i compromessi politici e i limiti legali di una democrazia multipartitica.
Il primo ministro, Dick Schoof, che era stato scelto come tecnico per guidare il governo tutto di destra, ha presentato oggi le dimissioni dopo che Wilders ha ritirato i suoi ministri dal governo. L’uscita dalla coalizione è stata “irresponsabile e non necessaria”, ha detto Schoof, che resterà in carica per gli affari correnti, in attesa delle consultazioni che saranno condotte dal re. Wilders ha spiegato di non aver avuto altra scelta.
La scorsa settimana, dopo mesi di cali nei sondaggi, aveva presentato un piano in dieci punti sull’immigrazione e l’asilo per modificare l’accordo di governo (considerato già il programma più duro contro i migranti mai messo in opera nei Paesi Bassi e contrario al diritto dell’Ue). Tra le misure chieste c’erano controlli dell’esercito alle frontiere, chiusure di centri per rifugiati e deportazioni di rifugiati siriani. Nel fine settimana, Wilders aveva inviato un ultimatum: o gli altri membri firmavano, oppure se ne sarebbe andato. In mattinata ha dato seguito alla sua minaccia, dicendo di voler diventare lui il primo ministro. L’esito della crisi non è scontato.
La storia recente della politica olandese insegna che dalle ceneri di governo potrebbe nascere un secondo governo con la stessa maggioranza. Ma la reazione degli ex partner di coalizione di Wilders, anche quelli più vicini sul piano ideologico, è stata così dura che difficilmente i rapporti possono essere ricuciti per evitare elezioni anticipate. Caroline van der Plas, leader del Movimento civico contadino (Bbb), ha definito la decisione “un’azione kamikaze insensata” che dimostra che Wilders non mette prima i Paesi Bassi, mette prima se stesso”. Dilan Yesilgöz, leader del partito liberale conservatore Libertà e democrazia (Vvd), ha spiegato che Wilders “non è preoccupato dall’asilo, né degli interessi dei Paesi Bassi, né dei suoi elettori”. Alcuni analisti ritengono probabili elezioni anticipate in settembre. “Siamo pronti”, ha detto Timmermans, che guida la coalizione tra laburisti e verdi. “Impotenza, divisioni e litigi hanno caratterizzato il governo Wilders-Yesilgöz”, ha spiegato Timmermans: “Il nostro paese è in stallo e i problemi non vengono affrontati. I Paesi Bassi meritano un governo che unisca i cittadini e lavori su soluzioni concrete. E’ tempo di elezioni”.
L’alleanza di Timmermans è testa a testa nei sondaggi con il Pvv di Wilders, precipitato dai 37 seggi del novembre 2023 a 31. Durante la formazione del governo Schoof, a inizio 2024, alcuni sondaggi attribuivano a Wilders anche più di 50 seggi sui 150 della Camera bassa. In un anno e mezzo il panorama politico è nuovamente cambiato nei Paesi Bassi, con un ritorno degli elettori verso i partiti tradizionali. I liberali conservatori del Vvd, grandi perdenti del 2023 dopo il lungo regno di 14 anni del loro ex premier Mark Rutte, sono subito dietro con 28 seggi. I cristiano-democratici della Cda e i liberali di sinistra dei D66 sono vicini alla loro media degli ultimi quindici anni. Il Nuovo contratto sociale è praticamente scomparso passando da 20 seggi a uno. Il Bbb, che si era nutrito della rabbia dei contadini per le misure ambientali, è sul punto di fare la stessa fine. Una coalizione antisistema o tutta di destra è altamente improbabile. Le combinazioni sono infinite, ma quasi tutte relegherebbero Wilders al ruolo che gli riesce meglio: gridare dall’opposizione contro migranti e islam.