Per diciotto mesi l’intelligence di Kyiv ha preparato l’offensiva che ha colpito quattro aeroporti militari russi fino a 5.500 km dal confine. I droni FPV, nascosti in prefabbricati e mossi da una rete di spie interne, hanno colpito con precisione. Una dimostrazione di forza prima dei negoziati di Istanbul
Varsavia, dalla nostra inviata. Quando nello Studio ovale, a fine febbraio, il presidente ucraino si è sentito ripetere da Donald Trump “Non hai le carte”, sapeva già che da oltre un anno i servizi di sicurezza dell’Ucraina (Sbu) stavano preparando un attacco massiccio contro aeroporti militari russi che si trovavano anche a 5.500 chilometri dal confine ucraino. Prima del secondo incontro con i russi a Istanbul, previsto per oggi, gli ucraini hanno messo le carte sul tavolo e hanno distrutto circa quaranta bombardieri russi situati in quattro aeroporti: Belaja, nella Siberia sudorientale; Olenja, vicino Murmansk; Djagilevo e Ivanovo, rispettivamente a 200 chilometri a sud est e 300 a nord est della capitale russa. Gli ucraini hanno chiamato la l’operazione “Ragnatela” (Pavutina), i canali telegram di Mosca l’hanno ribattezzata la Pearl Harbor russa, non tanto per la potenza dell’attacco, quanto per alludere alla ritorsione che i blogger pro guerra vogliono sia senza precedenti.
Kyiv ha impiegato diciotto mesi per studiare i dettagli dell’operazione, Zelensky l’ha supervisionata ma a pianificarla è stato Vasyl Maljuk, capo silenzioso dello Sbu: in uno dei video diffusi dai servizi di sicurezza si sente coordinare e autorizzare gli attacchi, a un certo punto, con voce monocorde dice: “Ecco quanto è bello ora l’aeroporto di Belaja”.
L’Ukrainska Pravda ha ottenuto la storia di come i droni sono riusciti a entrare in profondità nel territorio russo e colpire con tanta precisione i bombardieri. La risposta è semplice e sbalorditiva: i droni Fpv, interamente prodotti in Ucraina tramite stampanti 3D, erano già dentro al territorio russo. Kyiv ha prima fatto passare oltre confine i droni, poi ha trasportato con dei camion dei prefabbricati in legno. Una rete di spie che opera all’interno del territorio russo ha successivamente nascosto i droni sotto i tetti dei prefabbricati e, a bordo di camion, li ha trasportati nei luoghi da cui sferrare gli attacchi contro gli aeroporti. I droni sono partiti dai camion parcheggiati, non hanno incontrato le difese aeree russe e sono riusciti ad arrivare a destinazione.
Difficile dire come la distruzione di quaranta bombardieri usati per colpire le città ucraine possa cambiare la guerra nell’immediato. Si tratta soprattutto di modelli Tu-95MS e Tu-22M3 – fonti ucraine hanno riferito al Wall Street Journal che Mosca non ne produce più – che sono importanti per gli attacchi a lungo raggio e per le forze nucleari di Mosca. L’effetto sulla guerra si vedrà con il tempo, oggi è già visibile il danno di immagine: queste operazioni servono anche ad esporre le debolezze del nemico. Il Cremlino in un giorno ha mostrato almeno tre fallimenti, uno militare e due di intelligence: ancora una volta le difese aeree interne non hanno funzionato e i droni sono arrivati a destinazione; i servizi di sicurezza non hanno captato la presenza di camion con a bordo prefabbricati con droni nascosti sotto i tetti, hanno lasciato che tutto il materiale entrasse nel territorio russo e non hanno il minimo controllo della rete di spie che opera in coordinamento con l’Ucraina; i servizi segreti esterni non hanno captato l’esistenza di un’operazione così vasta su cui Kyiv ha lavorato molto a lungo.
Oggi a Istanbul si incontreranno le stesse delegazioni che a metà maggio sono riuscite a concludere soltanto un grande scambio di prigionieri. I russi dovranno presentare il loro memorandum, gli ucraini vogliono insistere sul cessate il fuoco di trenta giorni e sull’incontro tra i presidenti dei due paesi. Prima di compiere l’operazione, secondo il sito Axios, l’Ucraina non aveva avvisato gli americani. Se vero, il fatto che l’attacco sia stato compiuto prima di un incontro che si prevede infruttuoso indica che Kyiv intendeva arrivare al tavolo dei negoziati più forte non soltanto agli occhi di Mosca ma anche di Washington.