Gli antisemiti “buoni”

Il filosofo e accademico di Francia Alain Finkielkraut, appena tornato da una settimana in Israele, riflette sul caos terribile in cui siamo precipitati

Il filosofo e accademico di Francia Alain Finkielkraut, appena tornato da una settimana in Israele, ha visto un paese più diviso che mai e una società molto critica nei confronti delle politiche del primo ministro Benyamin Netanyahu. Nonostante il 7 ottobre e la moltiplicazione degli attacchi antisemiti in occidente, lo spirito di vendetta non ha preso il sopravvento, spiega Finkielkraut al Figaro.



Due giovani diplomatici israeliani che lavoravano all’ambasciata di Israele negli Stati Uniti sono stati uccisi fuori dal Museo ebraico di Washington il 21 maggio al grido di “Free Palestine”. E’ un nuovo sintomo dell’ibridazione tra antisionismo e antisemitismo?

“In ‘Una storia d’amore e di tenebra’, Amos Oz scrive: I graffiti sono cambiati completamente in Europa. Quando mio padre era bambino in Lituania, le scritte ‘ebrei in Palestina’ ricoprivano i muri. Quando tornò in Europa, circa cinquant’anni dopo, i muri gli sputarono in faccia ‘ebrei fuori dalla Palestina’’. La situazione è ulteriormente peggiorata e ora tutti gli ebrei sono ritenuti responsabili delle politiche e persino dell’esistenza di Israele. E’ la Palestina, dal fiume al mare, che deve essere liberata. Un tempo gli ebrei erano una razza di avvelenatori che i difensori della civiltà occidentale volevano mettere fuori gioco. Ora sono un popolo di razzisti, che i loro più grandi nemici vogliono condannare a morte”.



Finkielkraut è appena tornato da una settimana in Israele.

“La società israeliana non è mai stata così divisa. Invettive e anatemi abbondano. Le dissonanze dell’anima ebraica stanno raggiungendo il loro apice. Nonostante la guerra che infuria su più fronti, una disunione sempre più rumorosa ha sostituito la sacra unione. Di fronte ai manifestanti che, settimana dopo settimana, chiedono instancabilmente la liberazione degli ostaggi e l’indizione di nuove elezioni, ci sono israeliani che vedono nel massacro del 7 ottobre un miracolo, la mano di Dio, l’opportunità insperata di occupare l’intera Terra promessa e di svuotarla finalmente della popolazione non ebraica. Alcuni dei miei interlocutori mi hanno detto che questi ultimi sono in una ‘fase maniacale’. Mentre il messianismo nella sua accezione più esigente è concepito come una realizzazione suprema dell’ideale di umanità comune, il loro messianismo fuorviante li affranca dalla moralità universale. E i loro cattivi ministri, Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, fanno del governo israeliano il principale nemico di Israele. Questi sono i commenti che ho sentito durante il mio breve soggiorno. In altre parole, e contrariamente a quanto sostiene il regista israeliano Nadav Lapid, che vive in Francia, lo spirito di vendetta non ha preso il sopravvento”.



Come analizza ciò che sta accadendo in Francia con Jean-Luc Mélenchon (leader della sinistra radicale, ndr) che, insieme a Rima Hassan, ha fatto della critica sistematica a Israele un argomento elettorale rivendicato?

“Con la feccia antisemita che ora dilaga al Palais Bourbon (il palazzo dove ha sede l’Assemblea nazionale francese, ndr), la parentesi post-hitleriana della storia si sta chiudendo. ‘Sionista’ è il nuovo sinonimo di ‘kike’. Con i suoi ripetuti appelli all’intifada, l’estrema sinistra sta deliberatamente indirizzando le frustrazioni e la rabbia dei ‘quartieri popolari’ contro gli ebrei”.

L’accusa di genocidio è diventata un riflesso per un’ampia parte della sinistra. Alcuni intellettuali e media fanno paragoni con Auschwitz. Lei ha visto molto presto questa volontà di nazificare Israele…

“Nel suo ultimo libro, ‘La splendide promesse’, Danièle Sallenave scrive: ‘In ogni secolo c’è una catastrofe sociale, politica e umana che lo condanna. Nel nostro secolo, sarà Gaza 2024’. Quindi non può accadere nulla di peggio nei prossimi settantacinque anni. E qual è stata la catastrofe che ha condannato il Ventesimo secolo: Auschwitz (…). Nella sua guerra contro lo Stato islamico, la coalizione internazionale ha ucciso più di 50 mila persone a Mosul e Raqqa, ma chi ha parlato di genocidio? Questa parola serve solo a nazificare Israele e gli ebrei. C’è qualcosa di terrificante nella coscienza pulita antisemita che sta prendendo piede praticamente ovunque nel mondo. Pur tenendo gli occhi aperti su quanto sta accadendo, non dobbiamo cedere a questa retorica criminale. Gli israeliani che si sentono infangati dai ministri fanatici del loro governo ci stanno dando l’esempio”.



Jean-Noël Barrot, il nostro ministro degli Esteri, ha dichiarato che Gaza è diventata “una casa di cura se non un cimitero”. Ha aggiunto che la politica di Benyamin Netanyahu è “contraria agli interessi di Israele” e che “chi semina violenza raccoglierà violenza”. Cosa pensa di questa dichiarazione?

“Non è stato Israele a seminare violenza, ma Hamas. Non dobbiamo mai dimenticarlo. Nel 2005 Ariel Sharon ha smantellato tutti gli insediamenti ebraici a Gaza e vent’anni dopo, all’interno dei confini dello stato, si è verificato un evento che ricorda agli israeliani il pogrom di Chișinău (…). Invece di stordirsi con dichiarazioni vuote e vendicative, il nostro ministro degli Esteri dovrebbe prestare maggiore attenzione ai manifestanti di Tel Aviv e Gerusalemme e ai palestinesi che scendono in piazza a Gaza per chiedere ad Hamas di deporre le armi”.

Lei ha detto un anno fa al Figaro che ci sono due Israele inconciliabili. Quali sono e perché questa separazione?

“E’ nel 1967, dopo la guerra dei sei giorni, che il divario tra i due Israele ha cominciato ad allargarsi. La conquista della Cisgiordania è stata vissuta da alcuni israeliani non come una conquista, ma come un ritorno. Per loro, i nomi di Hebron e Gerico erano molto più evocativi di quelli di Tel Aviv o Haifa. Nessuno avrebbe potuto convincerli che la Giudea e la Samaria fossero territori stranieri e che quindi potessero essere scambiati. Ai loro occhi, i confini del 1967 sostituivano quelli del 1948. Uno Stato allargato sarebbe stato più facile da difendere, ma l’argomento storico e religioso ha prevalso su quello securitario. Dal 7 ottobre, questo discorso si è radicalizzato ancor di più. Ma come dimostrano tutti i sondaggi, è oggi minoritario in Israele”.



Crede nella soluzione dei due stati che ha sempre sostenuto, o questa soluzione è diventata impossibile? Se sì, cosa riserva il futuro a Israele?

“‘I palestinesi non hanno mai perso l’occasione di perdere un’occasione’, diceva Abba Eban. Da Camp David ad Annapolis, hanno rifiutato ogni proposta di pace da parte di Israele. E’ ormai troppo tardi? Gli insediamenti in Cisgiordania hanno creato un fatto compiuto? Come ha detto Yair Golan, negli ultimi mesi ci sono stati cinque pogrom in questa regione. Pogrom ebraici! Per il bene dei rispettivi popoli, palestinesi e israeliani devono trovare il modo di separarsi. ‘Aiutateci a divorziare’, aveva già chiesto Amos Oz”.

(Traduzione di Mauro Zanon)

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